Nella vecchia sonnacchiosa provincia anni ’60, un giovane prof di matematica rimane invischiato in un tenebroso delitto

(di Piero Lotito) Se c’era bisogno di smentire la diffusa convinzione che l’ambiente ideale per un romanzo tra il giallo e il poliziesco sia la metropoli (in questi ultimi anni gli autori sono tutti sbarcati nella grande città), ecco un libro che rimette le cose a posto, riportandoci alle atmosfere impagabili della vecchia provincia, dove non si muove un passo che non rimbombi nelle case e nei caffè, negli uffici del commissariato e nell’animo sempre sospeso tra curiosità e chiusura dei suoi abitanti. Si tratta di Termine corsa, pubblicato dalle Edizioni DrawUp e scritto al debutto nella narrativa dalla giornalista Albina Olivati, che in provincia, proprio in quelle atmosfere, si è fatta le ossa come cronista della redazione di Sondrio del “Giorno”, per poi divenirne responsabile e infine passare alla redazione milanese, nella conclamata metropoli che, si vede, non l’ha del tutto convinta come potenziale sfondo d’una vicenda romanzesca. E buon per noi lettori, che in Termine corsa ritroviamo il gusto d’una lettura di atmosfera, appassionante e insieme divertente, che scorre leggera dalla prima all’ultima delle oltre duecento pagine.
Tanto bene conosce Sondrio, Olivati, che qui, nella città forse più “silenziosa” d’Italia, ha ambientato una vicenda popolata di vividi personaggi, ciascuno scolpito nella propria minima dimensione del figurante, che, tuttavia, risulta alla fine fondamentale nella complessiva messa in scena. E che Termine corsa abbia un che di teatrale, è rivelato dal cono di luce che si accende su Ersilio Salvi, insoddisfatto trentenne professore di matematica che, destinato tra gli anni ’60 e ’70 in Valtellina alla cattedra di un istituto tecnico, si ritrova ben presto al centro di un grosso guaio: l’uccisione («il cranio sfondato col busto in bronzo di Toscanini») di Rosetta Bierzi, segretaria del circolo culturale Il Poggio, al quale il giovane professore si era iscritto «per disperazione». La Bierzi, apprendiamo, «non era mai stata sposata, cercava la mente eccelsa degna di lei, diceva. In realtà le cose stavano diversamente. Bassa, testone di capelli crespi, gambe storte, sedere a terra, spesso intrattabile, era il prototipo della zitella di cui oggi si sono perse le tracce». E il cono di luce si sposta su tutto un universo di personalità seminascoste, che vivono al contempo un aspetto pubblico e un ritroso, interiore rovello.
Tra quinte e proscenio, la vicenda si snoda in un mondo ora sonnacchioso ora affannato, un trantran non privo di momenti “gloriosi”, giacché in provincia è sempre l’individuo a giocare le carte migliori. L’epoca è lontanissima, la nevrosi dei nostri anni non è nemmeno immaginabile, e perfino il subbuglio suscitato dall’assassinio – in una tranquilla città di provincia, un delitto è sempre vissuto come, chessò, uno sbarco sulla Luna – obbedisce al ritmo lento e “masticato” col quale si trattano gli avvenimenti rari, quelli che in periferia fanno la storia. Ma la scrittura di Albina Olivati è briosa, scattante, e, in più, possiede la dote non comune dell’umorismo, di certo preferibile anche alla più “sottile” ironia. Così, l’avventura di Ersilio Salvi, che finisce suo malgrado col trasformarsi in investigatore, risucchia il lettore in godibili sorprese e insospettate piccole verità, portandolo senza false emozioni alla soluzione del giallo e, perfino più importante, alla riscoperta del gran teatro della provincia.

Albina Olivati, “Termine corsa” – Edizioni DrawUp 2017 – pp 214 – € 11,90.