MILANO, giovedì 7 febbraio ► (di Paolo A. Paganini) Di origini ebree, Arthur Schnitzler nasce a Vienna nel 1862. Il padre Johann era direttore del Policlinico e professore universitario di medicina. Arthur e il fratello minore, Julius, seguirono le orme paterne, finché Arthur non prese altre vie, anche se nel frattempo aveva raggiunto incoraggianti affermazioni come larintologo.
Precoce scrittore di poesie e di novelle, divenne, dai primi anni del 1890, autore di grandi successi come romanziere e drammaturgo (“Amoretto”, “Al pappagallo verde”, “Girotondo”, “Intermezzo”, “La contessina Mitzi”, “Professor Bernhardi”, “Fuga nelle tenebre”, della quale ci occuperemo più sotto, “La signorina Else” eccetera), conobbe il connazionale Sigmund Freud, e fra i due si stabilì un intenso gemellaggio spirituale e scientifico, più epistolare che personale, dal 1900 al 1926.
Freud, per sua stessa ammissione, avvertiva un certo disagio nei confronti di Schnitzler, sentendolo come il suo “doppio”, il suo sosia. Riconosceva in lui una particolare sensibilità nella ricerca psicologica dell’inconscio, e, d’altra parte, entrambi, condividevano curiosità abbastanza simili per gli affascinanti temi di fine secolo: l’isteria, l’eros, la sessualità, l’ipnosi, il sogno, lo spiritismo, l’occultismo, che Freud, da scienziato, spinse a esasperati radicalismi, mentre Schnitzler, da artista, considerava con curiosità letteraria. Tra l’altro nutriva, per la nascente psicoanalisi, una certa diffidenza, pur riconoscendo una contiguità d’interessi freudiani.
Ma Schnitzler preferiva, con leggerezza ironica, addentrarsi in “quella specie di territorio intermedio, fluttuante fra conscio e inconscio”, che definiva “medioconscio”, che gli consentiva di muoversi con maggiore libertà tra i suoi personaggi letterari. Inoltre Schnitzler, con distaccata coscienza critica, non nascondeva la propria amarezza di fondo nel giudicare quel periodo storico di trapasso di un’epoca, dalla Fin du siècle a tutta la Belle Epoque, durante il quale poteva osservare, con occhi disincantati, la decadenza e la degradazione dei valori individuali e culturali dell’Austria Felix.
E la Grande Guerra era alle porte. Et finis Austriae.
Consideravamo la storia di Arthur Schnitzler, e i suoi rapporti con Freud e con la sua epoca, nell’occasione della rappresentazione in prima nazionale di “Fuga nelle tenebre”, dal romanzo breve dell’autore viennese, vista ora all’Out Off, nell’interpretazione di Massimo Loreto e Paolo Bessegato. Regia di Lorenzo Loris.
È un’opera di per sé interessante per i contenuti psicologici, psicoanalitici e letterari, oltre che cronologici.
Il romanzo fu pubblicato nel 1931, poco prima della morte di Schnitzler. Erano passati tre anni dalla tragedia familiare che lo travolse: il suicidio a Venezia dell’amatissima figlia Lili. Un gesto che Schnitzler non seppe spiegarsi, che non gli darà più pace, e dal quale non si riprenderà mai più.
Ma la stesura originaria di Fuga nelle tenebre (Flucht in die Finsternis) risale agli anni 1912-1917. Cioè il periodo in cui Schnitzler frequentava Freud. E si avverte una indubbia influenza.
La stessa tecnica narrativa di Arthur Schnirzler, conosciuta come “monologo interiore dei personaggi”, era tutto sommato molto simile alla tecnica terapeutica delle “associazioni dei pensieri in libertà”, con la quale un analista sottopone il paziente.
Qui, in “Fuga nelle tenebre”, il monologo interiore è semplicemente travolgente, per l’intensità dei pensieri emergenti da anime lacerate, e che si fanno impudico spettacolo di se stessi, in un groviglio di sentimenti, angosce, sentimenti, dubbi. E intanto il vacillare delle menti diventa diffidenza, diventa aggressività. E i desideri repressi, tra fantasie e realtà, diventano rabbia malata e impotente. Per poi farsi orrore della vita e desiderio di morte.
“Fuga nelle tenebre” narra di due fratelli, Otto (Massimo Loreto), stimato neurologo, e Robert (Paolo Bessegato), funzionario di Ministero. Turbato dalla vicenda d’un caro amico diventato folle e dopo la morte improvvisa della giovane moglie, Robert è ossessionato dal timore di diventare lui stesso pazzo. È un pensiero fisso, che lo fa precipitare sempre più un disperato gorgo di paure, di angosce, di sospetti e diffidenze. Teme, senza poterlo ricordare, di essere stato lui a uccidere la moglie, e poi di essere stato sempre lui l’assassino della sua amante, di cui non ha più notizie da tempo. Ormai precipitato nel buio dell’anima, in un’angoscia senza ritorno, pensa che lo stesso Otto, il quale ama profondanente il fratello e cerca di sollevarlo dai suoi turbamenti, mediti di ucciderlo.
Anime denudate, senza più difese, vengono raccontate attraverso i monologhi interiori dei loro pensieri, in un inarrestabile procedere verso una tragica conclusione.
In un’ora e dieci senza intervallo si fa quel che si può, per portare in scena Schnitzler senza tradire Freud.
Lorenzo Loris fa teatro, non scrive trattati di psicologia. Nell’adattare e allestire per la scena dell’Out Off il romanzo di Schnitzler, ha dunque focalizzato l’impianto drammaturgico sul progressivo gioco di Robert, nello svelare sempre più i suoi fantasmi di morte, nel camuffarli in una disperata autodifesa, nel tentativo di disconoscere la propria follia in nome di paranoiche “verità”.
Che pietas e che pena per l’infelice Robert, interpretato con straordinaria intensità da Paolo Bessegato.
Spostando quindi il focus dell’analisi sull’interpretazione dei pensieri di Otto, così tenero, bonario, così poco scientifico, e così dunque straordinariamente teatrale, c’è un Massimo Loreto che, a scapito della scienza, si lascerà sopraffare dall’umana pietà per il fratello malato.
Loreto interpreta, in sovrapposizione di ruoli, anche la parte (in dis-parte) del dottor Leinbach (che forse adombra la stessa figura di Freud), ma che qui, sulla scena, risulta un po’ pasticciata (non è sufficiente coprirgli il capo con la kippà, a seconda dell’uno o dell’altro ruolo).
Spettacolo intenso e coinvolgente, come s’è detto. Sala esaurita. E, alla fine, cordialissimi applausi per tutti.
“Fuga nelle tenebre”, di Arthur Schnitzler, traduzione di Giuseppe Farese, idea e adattamento Lucrezia Lerro e Lorenzo Loris, regia Lorenzo Loris. Con Paolo Bessegato (Robert), Massimo Loreto (Otto). Prima nazionale. Repliche fino a domenica 10 marzo. Teatro Out Off, Milano, via Mac Mahon 16.
www.teatrooutoff.it