Niente realismo, niente vecchio teatro: tutto è costruito a vista. Con un cast da brivido. E c’è il fantasma di Strehler

27-10-16-collage-nozze-figaroMILANO, giovedì 27 ottobre – (di Andrea Bisicchia) – La storia di un testo è quella delle sue interpretazioni, più attente all’oggi che al passato remoto, da cui, qualche volta, riaffiorano i ricordi. Nella nuova edizione delle “Nozze di Figaro”, vista alla Scala, Wake-Walker ha scelto proprio Figaro come regista e alter ego del suo spettacolo, dato che lo vediamo, sin dall’ouverture, impegnato a dare indicazioni ai macchinisti per montare la prima scena, quella della stanza che il Conte gli ha concesso per il suo matrimonio con Susanna, mentre le “americane” si alzano su con i riflettori, per i “puntamenti”.
Il teatro è finzione, sembra volerci dire il giovane regista inglese, stessa generazione del nostro Michieletto benché, spesso, la finzione risulti più vera della realtà. Niente realismo, niente vecchio teatro, quello rappresentato dal suggeritore posto agli angoli del palcoscenico che, qualche volta, dà la battuta al Conte troppo distratto dalle sue voluttà amorose, niente convenzioni, in quanto tutto è costruito a vista, con una scena in fieri e con un Settecento a cui alludono le tele squarciate del primo tempo e quelle della camera della Contessa, trasformate anch’esse a vista dalle undici allieve della Scala tuttofare, anche imbianchine che, con i loro rulli trasformano le pareti raffiguranti giardini settecenteschi in un bianco accecante, come per indicare che siamo arrivati all’oggi, alla pura neutralità, con i medesimi sentimenti contrastanti, declinati in una serie di tipologie amorose: quelle dell’amore spontaneo, dell’amore acerbo, dell’amore logorato, dell’amore-passione, dell’amore maturo, dell’amore erotico.

Diana Damrau (la Contessa), Golda Schultz (Susanna) e Marianne Crebassa (Cherubino) in una foto di scena di "Le nozze di Figaro"

Diana Damrau (la Contessa), Golda Schultz (Susanna) e Marianne Crebassa (Cherubino) in una foto di scena di “Le nozze di Figaro”

L’eros è sempre presente, non solo nel testo di Da Ponte, ma persino nella partitura, dove affiora spontaneamente dalle note come avviene in “Così fan tutte” e nel “Don Giovanni”, di cui Cherubino e il Conte sono una specie di variante, certamente più capricciosa e meno sulfurea. Eppure, in questa messinscena, aleggia il fantasma di Strehler della cui versione elegante e perfetta, intrisa di realismo magico, grazie alle scene di Ezio Frigerio, ispirate alla pittura di Fragonard, è rimasta la poltrona che vediamo in proscenio e che diventerà oggetto di scena pronto a farsi notare dopo il salto di Figaro che, dopo aver cantato l’aria del “signor contino”, la renderà meno agibile, quasi a voler dire: liberiamoci dei vecchi maestri, ma che, in seguito, diventerà nascondiglio per Cherubino, covo d’amore, spazio dei sospetti e dei capricci voluttuosi del Conte.
In questa edizione, ritorna il tema del teatro nel teatro, con una variante, dato che il regista lo propone come specchio della nostra contemporaneità.
Forse qualcuno del pubblico, che non accetterà queste contaminazioni tra passato e presente, tra finzione e realtà, avrà qualche motivo per lamentarsi, motivo che sparirà dinanzi a un cast da brivido, con una direzione che mette in risalto ogni singola nota coi suoi sottostesti, che lascia ampio spazio ai recitativi e alle melodie affrontate con toni distaccati, equilibrati, languidi, malinconici, guidati dalla bacchetta dell’austriaco Franz Welser-Möst che dirige l’orchestra della Scala tra le migliori al mondo, con le straordinarie voci di Diana Damrau (la Contessa) e di Marianne Crebassa (Cherubino), coadiuvate da quelle di Carlos Alvarez (il Conte), dal sorprendente Andrea Concetti (Bartolo-Antonio), dalla misurata Barbarina di Theresa Zisser e dalla coppia comica di Don Basilio e Marcellina, rispettivamente Kresimir Spicer e Anna Maria Chiuri.
Una menzione particolare spetta alla Susanna di Golda Schultz e al factotum Figaro di Markus Werba, il quale, con i suoi accorgimenti registici, farà concludere le storie d’amore, che testimoniano l’incongruenza della natura umana, in un giardino settecentesco, dichiaratamente finto, in bianco e nero, come per dire che i sentimenti possono far uso persino di un semplice “girevole” da utilizzare, non come un semplice espediente tecnico, ma come l’orologio infinito del tempo, al quale essi sono connaturati.
Trionfali applausi per tutti alla fine, dopo tre ore e quarantacinque, con compiaciuta insistenza nei confronti di Marianne Crebassa, Diana Damrau, Golda Schultz e Marcus Werba.

“Le nozze di Figaro”, di Wolfgang Amadeus Mozart, direzione Franz Welser-Möst, regia di Frederic Wake-Walker, scene e costumi di Antony McDonald. Al Teatro alla Scala, Milano. Repliche: sabato 29 ottobre; mercoledì 2 novembre; sabato 5; martedì 8; giovedì 10; mercoledì 16; sabato 19; giovedì 24; domenica 27.
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