Nietzsche, il grande “malfamato”, che ebbe l’audacia di coniugare arte e filosofia. E gli accademici? Tutti contro

collage nietzsche(di Andrea Bisicchia) Nella Biblioteca Minima di Adelphi è appena uscito: “Su verità e menzogna exstramorale”, scritto da Nietzsche nel 1873, con la traduzione di Giorgio Colli e con un saggio di Benedetta Zavatta che inquadra il periodo storico, 1872-73, durante il quale il saggio fu scritto, un periodo poco felice per Nietzsche, perché la sua idea di coniugare filosofia e arte non era ben accetta né dai filologi né dagli antichisti dell’Università di Basilea, come Milanowitz, che aveva già tacciato di non scientificità “Nascita della tragedia”, il testo che gli avrebbe procurato tanta fama, ma anche tante inimicizie.
L’ostilità dell’ambiente accademico era diventata un alibi anche per gli studenti che disertavano in massa le lezioni di Nietzsche che, nel frattempo, si era avvicinato alla rivoluzione musicale inventata da Wagner di cui lodava la riscoperta dei miti germanici che egli cercava di rapportare ai miti greci e alla filosofia presocratica, oggetto delle lezioni universitarie nel periodo in cui scrive “Su verità e menzogna”, senza gli apparati bibliografici che rendevano l’opera, a detta dei detrattori, più il frutto di una disquisizione che di un lavoro scientifico. Nietzsche si sentiva perseguitato, se non addirittura “malfamato”, come scrisse in una lettera indirizzata a Wagner nel 1872. L’alleanza tra filosofia e arte lo rendeva inviso, benché egli si sforzasse di giustificarla in campo gnoseologico, avendo individuato un diverso rapporto tra intelletto e conoscenza, tra “Individui deboli” che fanno ricorso all’intelletto, fonte primaria di finzione, di inganno, di mascheramento, e “individui robusti” che preferiscono non lasciarsi ingannare e che ricorrono alla forza di volontà.
Nietzsche si chiedeva da che cosa nascesse l’enigmatico impulso alla verità e lo individuava nel linguaggio, convinto che chi mente utilizzi le parole per fare apparire reale ciò che non lo è, proprio perché la verità, alle parole, non interessa, essendo sottoposta al logoramento temporale delle metafore che nascono con l’origine del mondo e sono frutto della primordiale fantasia umana che cerca di interpretare l’essenza delle cose che, difficilmente, si mette in mostra per apparire, anche perché la parola apparenza “contiene molte tentazioni”. La verità, piuttosto, va ricercata nelle leggi della Natura, ovvero, nelle forme originarie, quelle che ci vengono trasmesse dalle metafore che, successivamente, si trasformeranno in concetti, alle cui costruzioni lavorano sia il linguaggio che la scienza. Quando i concetti non bastano, si fa ricorso al mito, con la consapevolezza di lasciarsi ingannare. Il mito e l’intelletto sono maestri di finzione per la loro capacità creativa che sa mescolare metafore e astrazioni. Come difendersi? Ricorrendo all’intuizione. Nietzsche, prima di Bergson, ritiene che l’uomo dalla forte intuizione possa fondare il dominio dell’arte sulla vita e liberarla sia dagli inganni che dalle menzogne.

Friedrich Nietzsche “Su verità e menzogna in senso extramorale” Adelphi Edizioni 2015, pp. 60, € 7.