(di Andrea Bisicchia) Sembra che Socrate abbia detto a un suo allievo: “Per morire senza rimpianti bisogna convincersi che il mondo è pieno di imbecilli”, quante volte noi abbiamo sentito dire che gli imbecilli sono gli altri. Maurizio Ferraris, docente di filosofia teoretica, ha scritto per il Mulino, “L’imbecillità è una cosa seria”, ed ha trattato l’argomento con scrupoli fenomenologici, alternando l’indagine filosofica con quella sociologica, l’analisi culturale con quella politica, e investigando gli atteggiamenti degli intellettuali in rapporto a quelli dell’uomo qualunque.
Anche lo studioso, attento alla ricerca, ha detto, spesso, tra sé: “sono stato un imbecille”, forse per giustificare certi risultati che avrebbe potuto prevedere prima, avendo, per sbaglio, scelto una strada più lunga per raggiungerli, tanto da far dire a Ferraris che non esiste grandezza umana che non sia travagliata dall’imbecillità, portando a testimonio il grande logico Gödel, che, convinto dell’esistenza dei fantasmi, ha rischiato di essere ritenuto un imbecille, benché si trattasse dell’imbecillità dell’uomo di genio.
Nel “Dizionario dei luoghi comuni”, Flaubert scrive, a proposito degli imbecilli: “Lo sono tutti coloro che non la pensano come noi”. Il dizionario è messo in fondo al romanzo “Bouvard e Pécuchet”, personaggi noti per aver fatto della ricerca di tutto lo scibile umano il fine della loro vita, senza ricevere, dopo tanto studio e accanimento, alcuna ricompensa. Forse per loro potrebbe valere il detto: hanno studiato tutto, ma non hanno capito nulla; anche perché, alla fine delle loro ricerche scientifiche, tanti enigmi sono rimasti insoluti. Dario Fo inventò, a questo proposito, un neologismo, “Imbecilligenti”, a significare l’alternanza di lampi di intelligenza con lampi di imbecillità.
Gli fece eco Umberto Eco, secondo il quale, l’imbecille soffre di un deficit sociale, nel senso che dice spesso quello che non dovrebbe dire, al contrario dello stupido, che egli ritiene più pericoloso, perché il suo è un deficit logico.
È possibile allora conoscere l’imbecillità? E cosa farne una volta conosciuta? Se va di pari passo con i tempi oppure ha, come in ogni epoca, i suoi bugiardi, i suoi tromboni, e i suoi imbecilli? Basterebbe inoltrarsi nei pensieri che si scrivono sul web per capire come, accanto a tante persone intelligenti, si possano trovare legioni di imbecilli. Per non parlare poi dell’imbecillità all’interno della politica, dove si può trovare di tutto e di più. Simili argomenti Maurizio Ferraris ha sviluppato nel III capitolo, quando si intrattiene sulle ideologie e sulle false coscienze e dove sostiene che il fanatismo è la forma di riciclo più acuta dell’imbecillità, tanto che, in politica, non solo si riciclano i deputati e i senatori, ma, spesso, anche le loro imbecillità, perché dai discorsi che fanno non si ricava mai un bel nulla, essendo specchio della loro stupidità, oltre che del ridicolo che, a sua volta, è una forma di umorismo, quello che Pirandello chiamava “il sentimento del contrario”. C’è chi, come Pino Aprile, ha scritto “L’Elogio dell’imbecille”, forse perché, a suo avviso, l’intelligenza non serve più, o come l’economista Carlo Maria Cipolla, scomparso recentemente, che, in un saggio sulla stupidità umana (1976), ha sostenuto che stupido è colui che causa un danno agli altri, senza ricavarne alcun vantaggio. Al lettore la facoltà di scegliere.
Maurizio Ferraris, “L’imbecillità è una cosa seria” – Il Mulino 2016 – pp 130 – € 12.