
Donato Bramante. Uomo d’arme con barba ed elmo (1487-1488 ca.), affresco strappato e trasportato su tela; 120 x 115 cm – Milano, Pinacoteca di Brera
MILANO, giovedì 4 dicembre ●
(di Patrizia Pedrazzini) “Perché se pure i Greci furono inventori dell’architettura e i Romani imitatori, Bramante non solo imitandogli con invenzion nuova ci insegnò, ma ancora bellezza e difficultà accrebbe nell’arte, la quale per lui imbellita oggi veggiamo”. Così il primo grande storico dell’arte, Giorgio Vasari, chiosa la poliedrica personalità di uno dei maggiori artisti del Rinascimento italiano, Donato Bramante, del quale ricorrono i cinquecento anni dalla morte.
Originario delle Marche, dove nacque nel 1444, e celebre soprattutto come architetto, Bramante fu in realtà anche molto altro: cosmografo, poeta volgare, pittore, geometra, esperto in pietre preziose e in marmi. Spirito inquieto e ingegnoso, trascorse a Milano ventidue anni (almeno dal 1477 al 1499). Ed è del profondo rinnovamento che la sua presenza innescò nel territorio lombardo che si occupa la mostra “Bramante a Milano”, alla Pinacoteca di Brera fino al 22 marzo.
Cinquanta opere, sue e di altri artisti, chiamate a testimoniare il seguito che la sua attività ebbe, nella città e nell’intera Lombardia, in un momento di straordinaria vitalità culturale della corte degli Sforza (forte della presenza, tra gli altri, di Leonardo da Vinci) e che segnò non solo l’architettura, ma anche tutto l’insieme delle arti figurative. Questo il percorso dell’esposizione, che è un po’ anche la storia di una fascinazione cui non si sottrassero protagonisti indiscussi della pittura rinascimentale lombarda, da Vincenzo Foppa ad Ambrogio Bergognone, da Bartolomeo Suardi (meglio noto come Bramantino) a Bernardo Zenale. Ma che coinvolge anche scultori, plastificatori, orafi, miniatori. Perché Bramante a Milano (in quegli anni la “Atene d’Italia”, come la definì il poeta fiorentino Bernardo Bellincioni) non è solo sinonimo di Santa Maria delle Grazie o San Satiro: tutti i manufatti artistici, dalle incisioni alle vetrate, dalle sculture alle terrecotte agli smalti ne uscirono permeati dalla nuova idea di architettura generale e di prospettiva che non solo modificò i gusti artistici dei milanesi, ma che li accompagnò poi almeno fino a tutto l’Ottocento.
Fra i “pezzi” non facilmente accessibili della mostra, la “Madonna in trono con il Bambino” di Ambrogio Bergognone, proveniente dalla Collezione dei Principi Borromeo; la sezione di vetrata del Duomo di Milano che raffigura san Giovanni evangelista mentre costringe i giovani al lavoro, attribuita ad Antonio da Pandino; il “Frammento scenografico di una scena sacra”, marmo di Giovanni Antonio Amadeo, “prestito” del Comune di Campione d’Italia. Oltre, naturalmente, ai fiori all’occhiello della Collezione Brera: quindici opere fra le quali, dello stesso Bramante, il “Cristo alla colonna” e, fuori percorso, la “Madonna col Bambino, quattro angeli, santi e Federico da Montefeltro” di Piero della Francesca, pittore che, nella Urbino del Quattrocento, giocò un ruolo fondamentale nella formazione giovanile dell’artista.
“Bramante a Milano. Le arti in Lombardia 1477-1499”, Milano, Pinacoteca di Brera, fino al 22 marzo 2015