MILANO, sabato 14 novembre ► (di Paolo A. Paganini) “Non ti pago” di Eduardo De Filippo, dopo la prima al Quirino di Roma, nel 1940, arrivò a Milano nel ’41 all’Olimpia e nel ’42 all’Odeon (alle successive non accenneremo). E c’era la guerra. C’era poco da ridere. Eppure il pubblico dal gran ridere non riusciva più a seguire le battute.
Allora, nel ’41 Renato Simoni mise in evidenza sul “Corriere”: “… i tratti di vigoroso realismo con le buffonerie più sciolte, conducendo la commedia verso una specie di dolorosa esasperazione della comicità (…) alla ricerca vittoriosa della più folle ilarità…, salendo dai toni che suscitano il riso a quelli che sfiorano il dramma…”
E, parlando dell’umorismo tragico di De Filippo, il saggista, poeta e drammaturgo Leonardo Repaci (fondatore nel ’29 del Premio Viareggio), scrisse: “… ha qualcosa di delirante che supera i limiti del comune riso per attingere a un più alto e tipico sarcasmo (…) in un’invenzione sempre fresca e colorita (…) su una maschera sformata da una risata senza fine”.
Insomma, tragico o comico? ira sbalordita o convinzione testarda? fantasia paradossale o logica squinternata? pazzia o ragione? follia o simulazione? soggetto grottesco o esasperato naturalismo? vigoroso realismo o matte buffonerie? Cos’è, insomma, questo “Non ti pago”? Niente da fare. La grandezza di Eduardo sta tutta qua, in una ambiguità che non è il gioco delle parti di pirandelliana memoria, ma piuttosto – come scrive l’autorevole studioso Andrea Bisicchia – il pirandellismo qui “diventa puro pretesto per trasformarsi in eduardismo, ovvero in una maniera di accostarsi alla vita più attenta ai particolari umani, in una ricerca scrupolosa di tutti quei sentimenti che si agitano dentro di noi…”
In sintesi, ambiguità e umanità. Come la vita di ciascuno.
Qui, in “Non ti pago”, la vita è quella di Ferdinando Quagliolo, gestore di un botteghino del lotto (i giovani forse non sanno cosa sia, ma diamolo per scontato). Egli gioca con testardo accanimento, ma non vince mai. Invece il suo impiegato, Mario Bertolini, fidando nei propri sogni notturni, vince sempre spudoratamente. Addirittura, il padre del suo stesso datore di lavoro gli dà quattro numero vincenti, e lo fa diventare milionario. Ahimè per lui. Il Quagliolo infatti, sostiene, in virtù d’una serie di indizi, che l’anima buona di suo padre, distratto in vita, figuriamoci da morto, di notte, al buio, sbagliò senz’altro persona. Lui, solo lui, dopo tante Messe fattegli,era senz’altro il legittimo e naturale destinatario dei numeri vincenti. Quindi, non ti pago, e che la peste ti colga!…
Ora, con tutti gli aggettivi che abbiamo sprecato sopra, prendeteli tutt’insieme, sparpagliateli qua e là, come gaudioso giubilo di risate.
Con qualche legittima riserva interpretativa.
Se nel ruolo di Ferdinando Quagliolo ci fosse stato, come da locandina iniziale, Luca De Filippo (ch’è una specie di carta carbone di papà Eduardo), con i suoi tempi, le sue pause, i suoi stupori, le sue fanciullesche cocciutaggini, forse questo allestimento avrebbe avuto una più pregnante consistenza comico-drammatica. Ma Luca s’è ammalato, e al suo posto c’è il pur ottimo Gianfelice Imparato, che è invece più moderno, più freddo, più televisivo, che si muove come se volesse prendere delle distanze, e tuttavia convincente, secondo altri canoni però, che non sono eduardiani. Ma non è mica un obbligo di legge.
Però, bisogna pur dirlo, è come se fosse venuto meno quel sottile carisma dell’ambiguità e dell’umanità, della follia e di quell’esasperazione, citata acutamente da Simoni.
C’è anche da dire che il palcoscenico dello Strehler è una piazza d’armi da trionfo di Radames, con la scenografia d’uno scatenato Gianmaurizio Fercioni, che ha ambientato l’appartamento di Ferdinando Quagliolo in una virtuale altitudine vicina al cielo, là dove aleggiano nuvole e fantasmi, incubi e sogni, in un turbinio di nembi di minacciosa e fatale incombenza. Ed anche questo distoglie da quell’intima tragicomica farsa tutta umana, tutta terragna, ch’è la vita, ch’è Napoli. Hai un bel darti da fare a volerla avvicinare al cielo.
Tutti d’ottimo livello i tredici interpreti della Compagnia di Teatro di Luca De Filippo. In particolare ci sono piaciuti: Carolina Rosi, appassionata verace napoletana nel ruolo della moglie di Ferdinando; Nicola Di Pinto, di sorniona umanità come uomo di fatica di casa Quagliolo; Viola Forestiero, una camerierina vivace come un folletto che sembra uscita da un fumetto; Massimo De Matteo, lo scarognato a lieto fine, impiegato di Ferdinando, che ne impalma la figlia (Carmen Annibale) ricevendone in dote… la vincita del lotto.
Calorosi applausi alla fine per tutti, con molte uscite.
“Non ti pago”, di Eduardo. Regia di Luca De Filippo. Al Piccolo Teatro Strehler, Largo Antonio Greppi 1, Milano. Repliche fino a domenica 22.
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