(di Patrizia Pedrazzini) – Preceduto da un battage pubblicitario di rara intensità, arriva sugli schermi l’ultimo lavoro di Mario Martone, “Nostalgia”, protagonista Pierfrancesco Favino, in concorso al Festival di Cannes.
Napoli, Rione Sanità, quello del Sindaco di Eduardo De Filippo (peraltro già tradotto in film, in chiave moderna, dallo stesso Martone nel 2019). La storia è semplice.
Dopo quarant’anni di assenza, passati fra Libano, Sudafrica ed Egitto, Felice torna a casa: la vecchia madre è sola e malata, sta morendo, e lui se ne prende cura fino all’ultimo, con tardiva, ma tenera e amorosa pazienza. Poi, però, invece di riprendere l’aereo per Il Cairo, dove lo attende la moglie medico, l’uomo si ritrova, giorno dopo giorno, a rimandare la partenza. Obbedendo al sottile richiamo di un passato che ha lasciato quando aveva quindici anni, e che si sta trasformando nel suo destino. Riallaccia i rapporti con un vecchio amico della madre, conosce e frequenta il prete del rione, don Rega, attivo contro la camorra e impegnato nel “salvare” più giovani che può dal richiamo della delinquenza. Ma il suo pensiero è un altro: Oreste, l’amico dell’adolescenza, il compagno di sortite e corse sulla Gilera rossa nei vicoli, ma anche di piccoli scippi. E di un omicidio, commesso da Oreste, che però lui non ha mai tradito. Anzi, per quello se n’è andato, a costruirsi una vita all’estero.
Solo che, mentre Felice è diventato negli anni un onesto imprenditore, Oreste ha fatto carriera a modo suo: adesso lo chiamano, a bassa voce, Malommo, vive di estorsioni, droga e prostituzione, insomma è il boss del rione. Ma a Felice, che va ancora in giro con la vecchia foto di loro due ragazzi sulla moto, questo non importa. Nemmeno ci crede veramente che l’amico di un tempo sia un delinquente pericoloso: lo vuole, lo deve incontrare.
“Nostalgia” è la storia di un amore viscerale, quello per una città, Napoli (e per un quartiere, il Rione Sanità) nella quale vita e morte, passato e presente, luci e ombre, coesistono e convivono senza la minima possibilità di essere disgiunti. In un groviglio di sapori, suoni, voci, odori, che ammalia. La confusione, i motorini che sfrecciano, i panni stesi, gli altarini sui muri, la spazzatura, i bassi. Così il rione diventa un personaggio reale, quasi il vero protagonista del film, mentre la sua purezza aggressiva ne fa un luogo unico per ospitare il “ritorno a casa”, e alle proprie radici, di un uomo al quale la fuga, e la lontananza, non sono bastate per chiudere con il passato.
Quanto all’ottimo Favino, fa del suo Felice, inizialmente spaesato, quasi impaurito davanti al “viaggio” che lo attende, poi via via sempre più sicuro e fiducioso in un mondo che sente appartenergli, l’emblema di un uomo buono, generoso e perbene. Ma che tuttavia, forse proprio per questo, non lo capisce, quel mondo. Non ce la fa proprio. “Tu ti illudi: i cuori si richiudono col tempo”, lo avverte don Rega, spingendolo ad andarsene, via, lontano da Napoli. “No, i nostri no”, gli risponde lui sorridendo: un’amicizia, quell’amicizia, non può essere finita. Tanto che, più che della nostalgia, l’uomo appare vittima soprattutto di una sorta di innocenza dell’anima che gli impedisce di vedere la realtà, se non attraverso gli occhi del ricordo. O forse non vuole?
Raffinata Aurora Quattrocchi nel ruolo della madre, potente Tommaso Ragno in quello di Oreste, incarnazione irresistibile dell’immutabilità del Male. E una fotografia da atmosfera magica nella quale perdersi.
Come del resto avvertono, nel richiamo in testa al film, le parole di Pasolini: “La conoscenza è nella nostalgia. Chi non si è perso non possiede”.
“Nostalgia”. Napoli, Rione Sanità. L’amore viscerale di un uomo alla ricerca del proprio passato. E del proprio destino
25 Maggio 2022 by