MILANO, giovedì 10 novembre ♦ (di Paolo A. Paganini) Il giovane Annibale Ruccello, fin dai suoi primi anni di drammaturgo, venne esaltato – e poi compianto – come la più inconfondibile e nuova voce del teatro napoletano del dopo-Eduardo.
Oggi, a trent’anni dal tragico incidente sulla Roma-Napoli, nel quale perse la vita, la sua voce continua ad avere guizzi e alchemiche coloriture non ancora santificati nel cristallizzato archivio dei classici. La sua voce ha sempre l’incredibile attualità d’un vitalismo inquieto, impudico, inquietante, sgorgando da quel grande ventre di Napoli, con i suoi sapori, sudori, afrori, fetori, che sono la contraddittoria realtà di una città unica al mondo, con i suoi femminielli di sordida e patetica umanità senza speranza (“Le cinque rose di Jennifer”), con i suoi stupefacenti barocchismi linguistici di straordinaria partitura vocalica, tra dolore e sfarzo, tra bramosie, tenerezze e dannazioni (“Ferdinando”), con i suoi archetipi popolari di ineguagliabile coloritura psicologica in una varietà di declinazioni sentimentali (“Mamma”).
E con i fantasmi d’una fragilità emotiva che incombono nella tragica solitudine d’una casalinga frustrata in un alterato sconquasso allucinatorio di mente, cuore e sensi.
Ci riferiamo a “Notturno di donna con ospiti”, che segna il gradito ritorno di un’opera di Annibale Ruccello al Teatro Franco Parenti, dove gà era stato dato “Ferdinando” nel 1987, “Le cinque rose di Jennifer” nel 2005, ed ora “Notturno”, che a Milano arrivò nel 2000, al Manzoni, sempre con l’attuale protagonista, Giuliana De Sio, che da vent’anni porta sulle scene questo amatissimo testo, in una prova mattatoriale da brividi, e sempre con il supporto registico di Enrico Maria Lamanna.
In due tempi (un’ora e 15 il primo, e 50 minuti il secondo), lo spettacolo prende il via da una apparente ipotesi di serenità domestica in una casa isolata della periferia napoletana, con i riti abitudinari d’un marito, Michele, che sta uscendo per la sua occupazione di guardiano notturno, Adriana, moglie inciabattata a preparargli panini e bottigliette di caffè, due bambini piccoli che stanno dormendo al piano di sopra.
In un’afosa serata di luglio, la storia si avvia presto a diventare un dramma imprevedibile e ossessivo.
Adriana, nel silenzio della notte, riceve l’intrusione d’una sconosciuta che fugge da una misteriosa aggressione. Si tratta in realtà di una vecchia compagna di scuola, Rosanna, con la quale non c’era mai stato buon sangue. In una successione da thriller, arrivano nella casa il marito di Rosanna, Arturo, e, a ruota, l’ex galeotto Sandro, con il quale Adriana ha avuto in passato una storia. Contemporaneamente, si materializza il padre di Adriana, in realtà morto da due anni, e la madre, impicciona, autoritaria e bigotta. Tutti questi personaggi non hanno l’impalpabile evanescenza di innocui fantasmi, ma, tra verismo e realismo, si piazzano da padroni, violenti e autoritari, nella casa di Adriana, occupano il bagno, fanno la doccia, pretendono di mangiare bere giocare fare l’amore, finché si aggiunge improvvisamente anche il marito Michele, come amico e compagnone dei prepotenti invasori. Adriana, spirito semplice e fanciullesco, gode di quelle presenze, che finalmente la fanno sentire viva e partecipe, facendola uscire dalle frustrazioni della sua vita solitaria. Non avverte, per il momento, pericoli e minacce. Finché, novella Medea napoletana…
Sono allucinazioni, certo, che richiamano alla mente tragici fatti di cronaca realmente accaduti, e che accadono quando il transfert di una mente turbata arma una mano innocente come se fosse di un’altra persona. E in questo alterato bipolarismo, la sciagurata vede se stessa come una sconosciuta, come un brutto sogno da dimenticare.
La bellezza inquietante del dramma di Ruccello passa attraverso la predilezione per una babelica congerie di inarrestabile effluvio dialettale, un concertato di sovrapposizioni e dissonanze, secondo coordinate inusuali nel teatro contemporaneo.
Troppo gridato, troppo sconnesso? Sì e no.
Se si parte dal giudizio d’un teatro civile ed educato, dà fastidio. Ma se si considera con il metro di altre realtà, psicotiche, patologiche, risulta come il necessario subbuglio mentale che ha una sua ragione d’essere, associandosi a una intrinseca e penosa simpatia per quella mente alterata, che vive per la prima volta, dentro di sé, sulle montagne russe della trasgressione, della voglia di vivere, della gioia di esistere. Anche se alla fine sappiamo che l’inferno dell’anima presenterà, presto o tardi, il suo pesante conto da saldare.
A meno che la mente malata non continui a giocare sul triciclo d’un ideale girotondo.
Bravissima, commovente, vitalistica e generosa fino allo spasimo Giuliana De Sio. Ben coadiuvata dall’eccellenza interpretativa dei compagni di scena, che almeno nomineremo: Gino Curcione, Rosaria De Cicco, Andrea De Venuti, Mimmo Esposito, Luigi Iacuzio.
Applausi per tutti, alla fine, con entusiasmi da concerto rock. Si replica fino a domenica 20 novembre.
Teatro Franco Parenti, Via Pier Lombardo 14, Milano.
www.teatrofrancoparenti.it