Novità assoluta di Rossini a Pesaro con pagine arditissime e voci prestigiose. Storia senza sorprese e finale in gloria

PESARO, sabato 12 agosto – (di Carla Maria Casanova) – 44.mo Rossini Opera Festival 11-23 agosto. Il sovrintendente Ernesto Palacio ha spiegato che sono stati scelti di proposito 3 titoli desueti, tutti di opere serie: Eduardo e Cristina (una novità assoluta, mai data al Rof, pochissimo in Europa in tempi moderni e ora qui in edizione critica, quindi integrale); secondo titolo Aureliano in Palmira (ripreso dal 2014); terzo, Adelaide di Borgogna, nuova produzione, titolo comparso in cartellone al Festival una sola volta nel 2011, praticamente un’altra novità.

Eduardo e Cristinamessa in scena, come tutte le opere in cartellone, al Vitrifrigo Arena, spazio ideale gestito con grande perizia perfettamente funzionale – è stata salutata da successo compatto, anche se certo lontano da quello che ottenne alla sua prima, a Venezia, Teatro San Benedetto nel 1819, dove fu trionfo epocale: 90 repliche in pochissimo tempo e poi, nel vasto mondo, un po’ dappertutto, anche in piazze decisamente imprevedibili, vedi New York o Calcutta (nel 1840)!! Poi, come spesso accade, l’oblio.
L’opera fu scritta assai velocemente, commissionata al 27enne Rossini dall’impresario Cortesi per far debuttare sua figlia Carolina, che poi coprì il ruolo co-protagonista di Eduardo. La fretta della gestazione ne fa un’opera “centone”, cioè un assemblaggio (ma non poi tanto) di arie e pagine riprese da precedenti opere, auto imprestiti cui Rossini era uso, ma i rimpasti erano fatti ad arte, rimaneggiati e adattati al nuovo contesto tanto che a volte è difficile riconoscerli. Una particolarità di questa partitura è la presenza del tamburlan introdotto nella sinfonia di cui si ha notizia in quanto lo strumento inconsueto era in dotazione dell’orchestra di Venezia.
È opera ardita, con pagine arditissime per soprano (Cristina), contralto (Eduardo), tenore (Carlo re di Svezia). Quanto all’opera, vale a dire alla storia, non c’è. Già al suo apparire si capisce come andrà a finire, pur attraverso le solite inutili vicissitudini. Il libretto, scritto da tre autori, vuole la storia ambientata in Svezia. Cristina però non è la storica regina, è la figlia del re, sposata segretamente a un eroe (Eduardo) da cui ha avuto un figlio. Il re, ignaro del tutto, destina la figlia a Giacomo, principe di Scozia di lei innamorato. Lei naturalmente rifiuta. Quando viene a galla il motivo, il pretendente scozzese è così signore da dichiararsi pronto a passar sopra a tutto e prendersi lo stesso sposa e figlio (non il padre, però! che deve essere giustiziato). Poi sopraggiungono fatti bellici. Il cosiddetto seduttore, che è uomo d’armi di grande valore, vince alcune battaglie e allora anche il re torna sui suoi passi e tutto finisce in gloria. Le vicende dei vari spasimanti non interessano a nessuno e loro la menano molto per le lunghe (due atti, 130 minuti).

Ma l’interesse va agli interpreti, i quali sono: Daniela Barcellona, un Eduardo sontuoso che continua a mantenere l’altissimo livello scoperto proprio qui al Rof nel 1996 (da allora, 14 presenze) e Anastasia Bartoli (Cristina) la quale invece al Rof debutta. Anni pochi (25?) e già prove significative qua e là, vedi Lady Macbeth a Tokyo diretta da Muti. Ha un precedente che la mette sotto ai riflettori; è figlia di Cecilia Gasdìa che è anche sua maestra (pare severissima). Questa Anastasia ha una voce molto importante e un temperamento forte e aggressivo (forse troppo). Magari Rossini non è il suo autore più congeniale (forse meglio Verdi?). Qui si trova un po’ in difficoltà nel registro acuto più spericolato affrontato con estremo coraggio. È certo una cantante da tenere d’occhio. È stato molto applaudito Enea Scala (re Carlo) tenore di prestigiosa carriera dallo squillo sicuro e dal bellissimo timbro vocale. Molto apprezzati anche il basso russo Grigory Shkarupa (Giacomo) e il tenore trevigiano Matteo Roma (Atlei).

Eduardo e Cristina è opera impegnativa: Jader Bignamini, nato clarinettista nelle file dell’orchestra milanese La Verdi, da dove è passato alla direzione d’orchestra, è oggi Direttore musicale a Detroit. Grande esperienza ha esibito qui a capo dell’orchestra nazionale della Rai e del Coro del Ventidio Basso.

E in scena come è risolta questa storia? A Stefano Poda spetta l’ònere di regìa, scene, costumi, luci e coreografie. Direi che si sia dato da fare soprattutto nelle coreografie, molto incombenti. C’è un fondale bianco brulicante teste di sculture classiche mentre, sul palcoscenico, sono messi in azione dei tralicci (fa conto delle gabbie) dentro cui si muovono i personaggi, soluzioni comparse con i tempi di Covid. Altrimenti, lo spazio è occupato da moltitudini di figure ignude grigie che, quando non si tratta dei coristi, si librano a forsennate danze. Deve essere l’interpretazione (psicanalitica?) di eventi o sentimenti, peraltro non molto chiara. Almeno, non molto chiara né altamente apprezzata da me, come si è capito.

Repliche 14, 17, 20 agosto, ore 20.