O il genio o niente. Roberto Herlitzka ne racconta il dramma con un testo di Thomas Bernhard

Milano. Roberto Herlitzka, protagonista di “Il soccombente” di Thomas Bernhard, al Teatro Franco Parenti.

Milano. Roberto Herlitzka, protagonista di “Il soccombente” di Thomas Bernhard, al Teatro Franco Parenti.

(di Paolo A. Paganini) Il canadese Glenn Gould (1932-1982) fu un genio del pianismo mondiale. Nel 1955, le sue “Variazioni Goldberg” di Bach lo imposero come una delle personalità innovative e controcorrente più straordinarie del secolo. Anche dopo il 1964, quando interruppe l’attività concertistica, la sua fama fu oggetto di culto per il popolo di appassionati, in America e in Europa. Orbene, lo scrittore austriaco Thomas Bernhard (1931-1989), per celebrarne le glorie ma anche, massimamente, per ricavarne un “trattato” sulla fenomenologia dell’arte, sulla psicologia degli artisti e sulla frustrazione di chi aspira alla supremazia del genio senza riuscirci, scrisse nel 1983 “Il soccombente”, un lungo e affascinante monologo di un centinaio di pagine, tra ironia, nichilismo e cruda pietà per gli umani fallimenti. Immagina, come io narrante, di aver studiato pianoforte, a Salisburgo, sotto la guida di Horowitz, insieme con l’amico Wertheimer e, appunto, con Glenn Gould, fin da subito rivelatosi come un fanatico del concertismo, un invasato del perfezionismo e del virtuosismo, un mostruoso fenomeno di parossismo pianistico. Finirà per esserne schiacciato a cinquant’anni.
Intanto, i tre amici studiano come pazzi, in un rapporto di solidale impegno. Ma è evidente che Glenn Gould ha una marcia in più. Wertheimer, mancato virtuoso del pianoforte, che Gould aveva subito definito “soccombente”, vedendo in lui uno che va a fondo sempre più, di lì a pochi anni abbandonerà il pianoforte, si dedicherà alle scienze dello spirito, e finirà impiccato a cinquant’anni. E l’io narrante, da Gould chiamato “il filosofo”, pur dotato, regalerà quasi subito il suo prezioso Steinway alla figlia cretina di un mediocre maestro, che in brevissimo tempo lo rovinerà.
Il chilometrico monologo diventa così la storia di fasti e nefasti di quei ventotto anni della loro vita, dai tempi di Horowitz al suicidio di Wertheimer. Ma, com’è nello stile di Bernhard, assume il carattere di saggio sociologico e di diario, in una proiezione dove non è difficile intravedere i segni autobiografici dello stesso Bernhard, che dipana un florilegio di argomenti che vanno da arte e dilettantismo, ottusità della vita provinciale, lo studio come rimedio alla disperazione, l’influenza nefasta dei grandi Maestri impegnati nella missione di soffocare sul nascere le doti straordinarie dei giovani musicisti, l’odiata Austria e l’insofferenza per la Svizzera, dove la gente muore a causa della Svizzera, e l’angosciante accettazione della vita sociale (“comprendiamo gli esseri umani ma non li sopportiamo!!).
Ora, si pensi che questa immensa mole di parole, con i dovuti e indispensabili tagli, è diventata materia drammaturgica per un’ora e quindici di monologo, affidato a uno straordinario e inquietante Roberto Herlitzka, con la presenza scenica di Marina Sorrenti, proiezione fantasmica di antichi incubi, che la giovane evidenzia sui muri come in stato di trance: singolare e suggestiva invenzione registica di Nadia Baldi. Pubblico teso e partecipe, con esplosione finale di applausi per interpreti e regista.

“Il soccombente”, di Thomas Bernhard, con Roberto Herlitzka. Repliche fino a domenica 19. Teatro Franco Parenti, Via Pier Lombardo 14, Milano