MILANO, domenica 19 marzo ► (di Paolo A. Paganini) “Non è ver che sia la morte il peggior di tutti i mali. È un sollievo de’ mortali che son stanchi di soffrir…”, è tra le più celebri citazioni poetiche di Pietro Trapassi, alias Pietro Metastasio (1698-1782). Potrebbe essere un importante sostegno ai fautori dell’eutanasia. E, in altri contesti, dirà ancora: “Agl’infelici difficile è il morir…”
Ovviamente, l’autore della “Didone abbandonata”, melodramma che ebbe un clamoroso successo, tanto che poi gli fruttò alla corte di Vienna altri undici melodrammi, e poi s’avviò a una vecchiaia serena e laboriosa, non parlava per sé, non ne aveva motivo. Ma lui, poeta e intellettuale, che aveva avuto una educazione cartesiana (i sentimenti sono irrazionali e incoerenti, solo la ragione può far luce sull’assurdità delle passioni), non poteva non rimarcare le ambiguità della vita e degli umani destini.
Ciò consideravamo, al Teatro Franco Parenti, dove è andato in scena (un’ora e quaranta senza intervallo) “Nessun luogo è lontano”, scritto diretto e interpretato da Giampiero Rappa, in scena con Alice Ferranti e Giuseppe Tantillo (musiche di Stefano Bollani).
Si narra di un ex scrittore di successo, che ora conduce una vita-non-vita in una lontana ed isolata baita d’altura, mangiando a pranzo una frittata e a cena un’altra frittata, scambiando qualche parola con le galline e una capretta. Per il resto, il deluso e amareggiato ex scrittore di successo odia il mondo, odia la sorella psichiatra, odia il nipote paranoico, tossicomane e aspirante scrittore, odia i due contadini poco distanti dalla sua anacoretica baita, odia gl’impiegati dell’unico albergo, giù in paese, odia tutta l’umanità in blocco, specie gli altri scrittori, falsi e vanesi. E odia se stesso, in un eterno cilicio di misantropiche sofferenze. Per lui l’esistenza ha un solo dogma: “Lasciatemi in pace”. Per far che?
Fin dall’inizio vien da pensare che un simile infelice abbia in sorte una sola conclusione: farla finita, e così sia. E invece no.
Viene faticosamente raggiunto da una giovane giornalista di rampanti ambizioni che, dopo varie missioni di guerra, ora vuole stanare con un’intervista l’accidioso e scorbutico scrittore, di cui il mondo ancora si ricorda per un suo famoso romanzo. Viene trattata da schifo, ma lei non si arrende. Riesce a carpirgli , qua e là, qualche fondamentale filosofema dei suoi abissi mentali: “La vita è come le quotazioni in Borsa, vanno su, vanno giù. E poi crollano. Ed è la fine”. Lei non ci crede. È convinta che lo scrittore sia solo un infelice,orgoglioso come tutti gli infelici, che però prima o poi ritornerà alla vita. “È un misantropo a tempo determinato”, dirà. Ma non è detto. Anzi la scadenza di quel tempo determinato forse è soltanto l’attesa e temuta “farla finita”. Ma poi arriva anche il nipote, simpatico e fuori di zucca, anche lui trattato peggio d’un appestato. Ecco, adesso è proprio la fine. E invece no. Come in un romanzo di Carolina Invernizio o un fotoromanzo di “Grand’Hotel”, la conclusione è consolatoria. Un abbraccio lo salverà. Bella es la vida, dulce es el amor…
Questo “Nessun luogo è lontano”, al di là di qualche riserva (il lacrimogeno finale e la recitazione a mitraglia di Alice Ferranti: se imposta dal regista Rappa, colpa del regista, se è il suo modo di recitare, colpa dell’attrice), è comunque una pièce degna e meritevole di molti e incondizionati elogi. È intelligente, è profonda, tratta, con inquietanti motivi di riflessione, del non infrequente desiderio di scomparire, di ritirarsi sfiduciati in un proprio guscio di solitudine e di rincunce, lasciandosi sopraffare dall’orrore di sé, come diceva Sua Maestà Petrolini, d’orrore di se stesso, di quel vuoto senza fondo. Ma nei suoi balenii di tragedia, i monologhi di Petrolini finivano in una omerica risata perché la vita non vale molto di più. Qui invece è tutto tremendamente serio. Ed evviva che sia così, dopo tante miserande sceneggiate tv e tante banalità teatrali. Eppoi, Rappa interpreta questo personaggio, questa sua creatura difficile e inquietante, questo mugugnatore delle umane sofferenze, con profonda e commossa partecipazione. Bella e convincente anche la generosa, allegra e pur tragica performance del giovane Giuseppe Tantillo. E, a parte le riserve di cui sopra, di autorevole presenza anche la resa interpretativa di Alice Ferranti.
Applausi senza riserve alla fine per tutti.
Si replica fino a domenica 26 marzo.
TEATRO FRANCO PARENTI, via Pier Lombardo 14, Milano
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Tel : 02 59 99 52 06