Omerica macchina comica con un “esagerato” Salemme. Una festa esilarante per salutare il 2018 con una gran risata

MILANO, mercoledì 13 dicembre ► (di Paolo A. Paganini) In teatro il ridere, più del piangere, è sempre stato un fenomeno abbastanza fuggevole. Legato alla cultura popolare, ai gusti plebei, sanguigni, maliziosi, sguaiati, boccacceschi, triviali e licenziosi del momento, il ridere ha meccanismi d’irresistibili e incomprensibili scatenamenti, sia nel sorriso a fior di labbra sia nella fragorosa sganasciata. Non si presta a una logica, a un ragionamento, a un giudizio critico eccetera. Che cosa ci sia da ridere, se uno scivola su una buccia di banana e finisce a gambe all’aria, come nei film di Stanlio e Ollio, è incomprensibile. Ma si ride, e basta.
Come si diceva, generalmente rispecchia anche un certo momento storico (allora si preferisce parlare di satira). Tant’è che, di epoca in epoca, cambiano le maschere dell’ilarità e i giullari, antichi e moderni, hanno sembre cambiato casacca con facilità, uniformandosi alle vigenti leggi di mercato, ma sempre nel rispetto dell’inalienabile legge della risata.
Come genere, il ridere si sublima nella farsa, sia quella antica, greca e latina, sia quella buffonesca delle feste religiose, oppure ridanciana e dissacrante nel mettere alla berlina benpensanti e parrucconi, dalla commedia dell’arte alle feste campagnole e pastorali, dal vaudeville alle macchiette del varietà, dalle brevi comiche finali alle più complesse strutture drammaturgiche, passando con sovrana indifferenza dal teatro dei burattini ai clown circensi. Da Arstofane alle maschere carnevalesche, da Angelo Beolco a Dario Fo.
E, se volete, da Eduardo a Vincenzo Salemme.
Ecco, l’ho detto, l’ultimo nome d’una imperante iconoclastia farsesca.
È in scena al Teatro Manzoni. E non so quante decine e decine di volte lo spettacolo di un’ora e cinquanta senza intervallo sia stato interrotto e travolto dalle risate del pubblico.
Imbarazzato, mi chiedevo cosa mai ci fosse da ridere. Eppure, improvvisamente, dalla diffidenza a una snobistica ritrosia, mi ci son trovato con le lagrime agli occhi per il gran ridere.
In realtà, Salemme ha tutto un collaudato bagaglio del repertorio comico. Interpreta con intelligenza figure piccolo borghesi dalle improvvise battute salaci al fulmicotone, e, insieme con i suoi otto formidabili compagni scenici, ne fa una mitragliata di situazioni comiche, ogni colpo a segno. Gl’ingredienti, che vanno dalle più azzeccate situazioni farsesche alle più pretestuose banalità (per tirare il fiato), passano dalla farsa a un tentativo di struttura drammaturgica, che non ha i tempi malinconici della vecchia Napoli di Eduardo ma il giustificato riferimento alla nostra epoca, con le sue insicurezze, con le sue nevrosi, con le sue abissali ignoranze pubbliche e private.
La trama è presto detta. Sul terrazzo d’un palazzo, in occasione dei diciotto anni d’una ragazza di famiglia benestante, si attende l’arrivo di ben ottantaquattro invitati (a Napoli si usa). Che mai arriveranno, perché al piano di sotto è morto un vecchio novantaduenne, e non si può, ovviamente, infrangere il rispetto dovuto al luttuoso evento. Ma non si potrebbe trovare un utile marchingegno per far slittare quella morte al giorno dopo? Tutto qui. Fra attese, tentativi di scongiuri, scontri, battibecchi, con fumini e saette sul mite, innocente e imbranato padrone di casa, s’aggira tutto un campionario di macchiette, con le quali si scatena l’inesauribile inventiva comica di Salemme, protagonista, autore e regista di “Una festa esagerata”, tra morti che forse non sono morti, tra fraudolente situazioni del sottoproletariato dell’INPS, tra figlie che invece son sorelle, tra portinai beceri e ignoranti, tra servitori indiani che forse non sono indiani, tra mogli che son peggio di Santippe e con figlie volgari e irrispettose, tra preti ignoranti (una figurina di eccezionale comicità) e politici intrallazzati, tra strafalcioni, qui-pro-quo, scandalose deturpazioni linguistiche, e qualche pennellata di buonistiche intenzioni, tra il tenero e il populististico (“Ah, non ci son più i tempi di una volta, quando in un palazzo ci si conosceva tutti e ci si aiutava”, oppure – come tenero omaggio a Eduardo – parlando di Napoli vista dall’alto, che sembra un Presepe, ci si rivolge al dirimpettaio, un certo Cupiello…).
Lo spettacolo sarà replicato fino all’1 gennaio 2018. Un bel viatico per chiudere in bellezza, e salutare il Nuovo Anno con una risata.

“Una festa esagerata…!”, scritta, diretta e interpretata da Vincenzo Salemme. Con Nicola Acunzo, Vincenzo Borrino, Antonella Cioli, Sergio d’Auria, Teresa Del Vecchio, Antonio Guerriero, Giovanni Ribò, Mirea Flavia Stellato – Al Teatro Manzoni, Via Manzoni 42, Milano – tel. 02.7636901