(di Andrea Bisicchia) Come è noto, il Vecchio e il Nuovo Testamento hanno offerto una infinità di argomenti a poeti, pittori, drammaturghi, musicisti, che hanno sostituito gli argomenti del mito, che Iliade e Odissea avevano offerto ai tragediografi, ai poeti, ai pittori vascolari e agli scultori greci, con quelli dei miti cristiani. Come dire che le grandi narrazioni dell’Occidente hanno in comune una fitta materia le cui fonti sono la mitologia greca e la mitologia cristiana.
Sia la Bibbia che i Vangeli, quindi, non sono altro che, come disse Eliot, “giardini di simboli” che, nel tempo, sono stati rielaborati in forme artistiche diverse, tanto che i personaggi del mito cristiano, come quelli del mito greco, sono stati soggetti ad esegesi creative fino a diventare icone, quando, a reinventarli, sono i pittori.
Massimo Cacciari in “Generare Dio”, Il Mulino, prendendo spunto da alcuni quadri : “La Madonna” del Mantegna, “Annunciazione e due santi” di Simone Martini, “Storie della croce” di Piero della Francesca, due “Annunciazioni” di Beato Angelico, due “ Madonne col bambino” e “La pietà” di Giovanni Bellini, offre una lettura parafilosofica della Madre di Cristo e, quindi, del suo “Generare Dio”.
Ciò che interessa a Cacciari è trattare la “fenomenologia dell’invisibile”, quella che i filosofi hanno trascurato, che i teologi hanno interpretato, che i poeti hanno liricizzato e che i pittori hanno raffigurato. Per Cacciari, che ha utilizzato gli scritti dei Vangeli, anche quelli apocrifi, gli scritti gnostici e patristici, tra parola e immagine non esiste un rapporto diretto, dato che, a suo avviso, la particolarità della parola consiste nel ridursi a illustrazione dell’icona che, da sola, eccede già in parola.
A quale icona, se non a quella dei pittori del suo tempo, si è ispirato Dante nella bellissima preghiera che mette in bocca a San Bernardo; “Vergine madre, figlia del tuo figlio”? Maria si presenta colma di grazia ed è tale perche chiamata a generare Dio, ovvero l’Atro da sé. Per Cacciari, le icone del generare si accompagnano a quelle della sofferenza, si spiega così il pathos che accompagna l’iconografia mariana. Non si tratta del pathos della gnosi che è iconoclasta, perché mitopoetica, è il pathos dell’icona che, al contrario, dipinge un evento reale che “presuppone che esso formi un tutt’uno col proprio significato”.
Le grandi icone di Maria non vanno concepite, pertanto, come illustrazioni di idee, bensì come vero e proprio atto creativo, come oltrepassa mento di tutto ciò che è reale, essendo Maria l’Annunciata ab aeterno, tanto che la nascita diventa generazione spirituale e la Croce pura immagine, concepita come travestimento del vero significato.
Anche in questo senso, l’icona sacra si contrappone all’icona dei miti classici.
Massimo Cacciari, “Generare Dio”, Il Mulino 2017, pp 106, € 12