Pasolini e le deliranti allucinazioni d’un padre, che pretende di scoprire nel figlio l’enigma del sesso

.gsddhg(di Paolo A. Paganini) Una ragazza ha commentato: certo che questo Pasolini è una bella mattonata sui denti! La frase non ha suscitato contraddittorio. Un fondo di verità c’è. Eppure, oltre ogni ragionevole dubbio, la cultura contemporanea non può fare a meno di Pasolini. Come non può ignorare Moravia, Gadda, Pavese, Morante, Testori… Bene ha dunque fatto il milanese teatro Out Off a proporre il suo terzo Pasolini. Nel 1990, “Orgia” (regia Syxty), nel 2001 “Pilade” (regia Latella), ora “Affabulazione” (regia Lorenzo Loris).
Scritta nel 1966, in versi di ostica e sotterranea musicalità, è una delle sei tragedie scritte quasi di getto nel corso della forzata immobilità a letto di Pasolini, dopo uno sbocco di sangue per un’ulcera allo stomaco, “Affabulazione” rispecchia “al di là di ogni credibilità psicologica (…) confessioni (…) che scivolano nell’allucinazione o nel delirio” (Oliviero Ponte Di Pino). E, si sa, dietro allucinazioni o delirio (ah, l’amata cultura classica di Pasolini) c’è spesso l’inquietante preveggenza di lontani aruspici ed oracoli. Qui, il poeta di Casarsa del Friuli prevede (per chi vuol vedere) la tragedia del rapporto padre/figli, destinato a deflagrare, di lì a qualche anno, con la contestazione, il rifiuto, la distruzione di ogni tentazione passatista. Al macero padri, maestri, romantici e classicisti, miti, valori, ideologie. Non è che bandiera rossa la trionferà, no. Sarà solo una rivoluzione che passa sopra il tutto per sfaldarsi nel nulla.
In “Affabulazione” la preveggenza riguarda più i padri che i figli. Come poi in realtà accadde. Quando i padri hanno rinunciato all’autorità, sostituendola con la palla dell’amicizia. In “Affabulazione”, dunque, la sindrome giovanilistica ha sfiancato e lacerato la povera mente d’un industrialotto milanese, che vuol conoscere l’enigma del figlio diciannovenne, di cui sa tutto, ma non sa niente dalla cintola in giù. In una forma di mimesi schizofrenica, il padre vuol diventare il figlio, vuol conoscere e vedere “realmente” la manifestazione trionfante del seme. “Così davanti alla tua giovinezza, / piena di seme e di voglia di fecondare, / il padre sei tu. / Io sono il bambino...” E, tra l’esasperazione del figlio e la pazzia del padre, il giovane non farà in tempo a salvarsi. Il padre ammazzerà il figlio e dichiarerà di aver commesso un regicidio.
Amen. Fine di una borghesia.
Il figlio morto, la madre impiccata, lui in prigione e poi barbone in un desertico mondo, dove continueranno a esserci solo le allucinazioni, o il delirio, o la pazzia. E l’enigma del figlio rimarrà un mistero. Come da sempre saranno un mistero i figli, prima di diventare padri, e di padre in figlio, e così via.
In un’ora e quarantacinque senza intervallo (pubblico sparuto e ammutolito), Lorenzo Loris, piaccia o non piaccia, ha fatto un signor allestimento. Roberto Trifirò è il Padre, nel segno di una morbosità melliflua e attaccaticcia; Alberto Patriarca è il figlio, giovane, bello, mite e un po’ bamba; Umberto Ceriani è l’Ombra di Sofocle (caspita, Ceriani, che bella lezione di teatro). Il trio si trascina dietro, tra cecità e cattive coscienze, il funzionale supporto di Annina Pedrini (la Madre, oziosamente compagna decorativa dell’industrialotto), Sara Marconi (la Ragazza del Figlio, a modo suo inutilmente curiosa d’amore e di verità), e Monica Bonomi, la misteriosa Negromante senza misteri. Uno spettacolo, che senza puzzette sotto il naso, è assolutamente da vedere.
“Affabulazione”, di Pier Paolo Pasolini, regia di Lorenzo Loris. Teatro Out Off, via Ma Mahon 16, Milano. Repliche fino a domenica 1 giugno.

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