Pasolini. L’umorismo come riflessione contro la classe borghese. Diverso da Pirandello, ma così vicino a Testori

(di Andrea Bisicchia) Stefano Casi, autore di “Le tragedie umoristiche di Pasolini e altre eresie”, edito da ETS, nella Collana Percorsi critici, diretta da Anna Barsotti, è considerato uno dei più accreditati conoscitori di Pasolini e, in particolare, del suo teatro, del quale ha ricostruito gli approcci giovanili, mettendoli a confronto con le famose tragedie scritte in un solo anno per dare vita a un “nuovo” teatro. Il volume esce in un momento particolare che non riguarda soltanto il centenario della nascita (1922), ma, soprattutto, la possibilità di vedere in concomitanza rappresentate le sue sei tragedie, al Teatro Arena del Sole di Bologna, durante questa Stagione, in un progetto ideato da Walter Malosti. Due sono già andate in scena: “Calderon”, con la regia di Fabio Contemi, e “Pilade” con la regia di Giorgina Pi che lo ha rielaborato insieme a Massimo Fusillo. Seguiranno: “Porcile”, regia Garella – Lucenti, “Orgia”, regia Portoghesi – Rosellini, “Affabulazione”, regia Marco Lorenzi, “Bestia da stile”, regia Stanislas Nordey.
A dire il vero, col teatro di Pasolini si erano cimentati attori importanti, come Vittorio Gassman, che abbiamo visto in una messinscena tormentata di “Affabulazione”, e registi come Luca Ronconi che, dopo aver realizzato “Calderon”, portò in scena, protagonista Umberto Orsini, una sua versione di “Affabulazione”.
Eppure, queste realizzazioni non erano state sufficienti per accettare definitivamente il Teatro di Pasolini, che risultava ancora alquanto ostico da digerire, perché ritenuto, secondo alcuni, molto difficile, essendo fin troppo carico di idee, di pensieri e pertanto inadatto alla materialità del palcoscenico.
Questa tesi viene smontata dalle due messinscene sopraccitate e dal libro di Stefano Casi che hanno dimostrato proprio il contrario. Stefano Casi aveva già pubblicato nel 2005 con UBU LIBRI (ristampato, nel 2019, presso CUE PRESS) uno studio importante, “I teatri di Pasolini”, con Introduzione di Luca Ronconi, dove iniziava a fare luce sulle novità apportate da Pasolini alla drammaturgia italiana.
Con questo nuovo studio chiarisce perché quel teatro possa essere meglio capito oggi, essendo, la sua struttura e il suo linguaggio, più facili da decifrare ed assimilare grazie all’uso che Pasolini seppe fare dell’Umorismo e grazie, anche, ai possibili accostamenti con autori italiani come Testori, Sanguineti, Scabia, Carmelo Bene, e stranieri, come Ionesco e Beckett, dopo le infatuazioni giovanili per il teatro dei Gobbi e per quello di Alberto Arbasino, in particolare, di “Amate sponde”, ai quali faceva riferimento in alcuni testi scritti negli anni Cinquanta: “Italie magique” e “Nel 46”.
La vicinanza a Testori è dovuta anche ai due Manifesti che pubblicano nello stesso anno “Per un nuovo teatro” e “Il ventre del teatro”, essendo entrambi convinti che la “rivoluzione” dovesse essere cercata all’interno del linguaggio e, in particolare, dentro il linguaggio del corpo che per Pasolini era da intendere come supporto fisico della parola che non va recitata, ma incarnata. Insomma il corpo da intendere come cassa di risonanza della parola, non proprio dialogica, bensì monologante, in fondo la centralità del monologo era tipica anche del teatro di Carmelo Bene, di Sanguineti e di Scabia. Questa scelta nacque dalla consapevolezza della incomunicabilità del dialogo e del potere che ebbe ad assumere il personaggio monologante, a sua volta ereditato dalla rarefazione del dialogo stesso, compiuta da Ionesco e Beckett.
A questo proposito, Stefano Casi scrive: “I corpi nel teatro di Pasolini si misurano con l’enunciazione verbale e il suo significato attraverso la voce, la presenza, la plasticità, la stessa antropologia”.
C’è, infine, da capire cosa intenda Casi, a proposito dell’Umorismo e in che maniera si discosti da quello pirandelliano. Diciamo che, per entrambi, l’Umorismo era una forma di difesa, ma se in Pirandello la difesa consisteva nel sentimento del contrario, per Pasolini si trasformava in una riflessione sulla classe borghese ed era utilizzato, secondo Stefano Casi, come una forma di distacco, di dissociazione dalla realtà, oltre che come senso di colpa e di dissacrazione.
In tal senso, Casi ritiene l’Umorismo una forma di eresia.

“LE TRAGEDIE UMORISTICHE DI PASOLINI E ALTRE ERESIE”, di Stefano Casi, Edizioni ETS 2022, pp. 150, € 16