Personaggi maledetti tra i cupi meandri della mente. Un libro che sembra un copione teatrale. Specchio dei tempi

(di Paolo A. Paganini) Non possiamo azzardarci a definire Carmelo Pistillo un solare cantore dell’ottimismo e della felicità. C’è in lui un cupo e tenebroso senso misterico da canti ossianici. Anche se non c’è niente di nordico nella sua opera. Né virtù guerriere, né slanci cavallereschi. Ma piuttosto echi lontani che salgono da imperscrutabili pertugi della nostra letteratura più spregiudicata e mediterranea, senza moralismi, senza salvifiche speranze di amore o redenzione. Certo, c’è anche qualcosa di gotico, di maledetto in Pistillo, anche se l’orrore non passa per i luoghi tenebrosi di castelli diroccati, lungo sinistri e bui sotterranei, tra ombre irrazionali di paura e di morte. La scrittura di Pistillo s’inoltra sempre più negli abissi dell’io, nei sotterranei dell’inconscio, fra le umide, buie segrete della mente. Di gotico, dunque, c’è soprattutto la tentazione al noir, come tanta letteratura del Novecento, che attingendo ai padri storici, come Robert Louis Stevenson, Edgar Allan Poe, ed altri, amava aggirarsi fra i miasmi di una morta gora di male e corruzione.
Tutto questo mi veniva in mente, mentre procedevo con spiazzante e, talvolta, faticoso imbarazzo, nella lettura di “Un uomo a piedi”, di Carmelo Pistillo. Perché anche lui descrive cupi meandri e tenebrosi sotterranei, ma son tutti nell’anima dei personaggi, fra dannanti giochi di potere, puttane generose e compiacenti, leccapiedi e infidi collaboratori, spregiudicati caimani senza scrupoli, in una guerra impietosa come una tragedia cosmica o come un’implacabile legge di natura, dove il più debole deve soccombere al più forte, secondo la logica di un capitalismo teso a far soldi, tanti soldi, sempre più soldi, in un intreccio di ciniche alleanze, di politici corrotti, di truffe e abiezioni.
Così Pistillo descrive il suo protagonista:
Roman nasconde un disperato bisogno degli altri e di come supplisca a questa carenza esercitando un potere che sazia ogni voglia. Spazzando via i nemici o riducendoli alla condizione di esseri non pericolosi e inoffensivi. Solo così potranno chiedere aiuti e favori. Solo così potrà tenere tutti sotto controllo…”.
Al centro della storia narrata da Pistillo, più specchio dei tempi di quanto non si pensi, c’è il titolare di una ricca impresa immobiliare con centinaia di impiegati e collaboratori. Si sente forte, invincibile, indistruttibile. Ma al primo cedimento, ne seguono altri. Talvolta il mercato impone l’imprevedibilità di altre regole. E alla prima crisi “gli squali dell’alta finanza europea” son pronti a sferrare l’ultimo, inarrestabile, impietoso attacco.
Il romanzo è costruito come un copione teatrale sotto mentite spoglie. Il protagonista, Roman, titolare signore e padrone dell’impresa immobiliare, va verso il suo inglorioso e fatale inferno, dopo una vita trionfante e dissoluta. Come un tragico e attuale Don Giovanni degli affari e di ogni spregiudicata affermazione sociale e sentimentale, alla fine incontrerà il suo sulfureo convitato di pietra. Anche questo Don Giovanni, o Don Chisciotte, è accompagnato dal fedele servo e testimone, Sganarello o Sancho Panza che sia. Qui, nel romanzo, si chiama Virgilio, e non c’entra con la guida dantesca. Ma c’entra con Cervantes. Virgilio è un fedele servitore, autista, fac-totum e ricercatore di libri rari per quel suo esigente padrone, grande e maledetto, il quale s’è messo in testa che esista un manoscitto di Cervantes, il monco di Lepanto, catturato dai Turchi e imprigionato per cinque anni ad Algeri. Roman, divorato da un’ossessione maniacale d’amore libresco, deve impossessarsi a tutti i costi di quel prezioso manoscitto, non baderà a spese. E Virgilio si dà da fare. Il facondo logorroico imbonitore Roman, l’impresario imobiliare senza scrupoli, affaristico filibustiere della finanza, e il silenzioso Virgilio, che tutto vede e tutto sa, sono in realtà le due figure centrali di questo ideale canovaccio teatrale, pletoricamente arricchito di chiose, annotazioni storico-culturali, note di psicologia aziendale, come commenti didascalici a margine, talvolta faticosi, di un virtuale apparato scenico nelle mani d’un esigente regista. O drammaturgo, come il multiforme Pistillo, che, attraverso le tentazioni di una letteratura maledetta, conduce una tragica partita di sopravvivenza fino alla disastrosa caduta finale.
“Cosa farai adesso?” chiede Ivonne.
“Camminerò come un uomo rimasto a piedi”.

Carmelo Pistillo, “Un uomo a piedi” – Bietti Editore 2017 – pp 240 – € 15.