PESARO, giovedì 11 agosto ► (di Carla Maria Casanova) – Il Rof (Rossini Opera Festival di Pesaro 9-21 agosto, 43esima edizione) è tornato alla sua formula ufficiale dopo il ridimensionamento forzato delle due passate stagioni. Riconosciuto nel 2012 dal Parlamento “Festival di assoluto prestigio internazionale”, il Rof riprende quindi il suo posto di leader degli avvenimenti lirici estivi.
Tre opere in cartellone – Le Comte Ory, La Gazzetta, Otello – con inaugurazione all’Arena Vitrifrigo (il nome di questo palazzetto dello sport varia secondo lo sponsor di turno). La seconda opera va per tradizione al Teatro Rossini.
Oramai sono spettacoli a pieno titolo anche le prove generali, alle quali il pubblico ammesso assiste numerosissimo e in alta tenuta, con frenetici applausi (quando è il caso).
Non ho visto l’inaugurale Comte Ory, che si vale di almeno due nomi doc: Hugo de Ana (regia, scene e costumi) e Juan Diego Florez, tenore peruviano che qui debuttò ventitreenne nel 1996 in Matilde di Shabran. Fu grande rivelazione e da allora egli vanta al Festival di Pesaro una presenza quasi continua: 21 stagioni. Ora del Rof Florez è anche direttore artistico.
Di questo Comte Ory ho soltanto sentito dire, non sempre benissimo (“allestimento troppo esuberante” pare) con la citazione positiva per Florez “che è sempre Florez, anche se non più quello di 25 anni fa” (ma tu guarda!!). E poi bene, mi pare, del mezzosoprano russo Maria Kataeva (Isolier) debuttante al Rof.
Passo dunque a “La Gazzetta” di Rossini, un riallestimento dell’edizione 2015, con regìa di Marco Carniti. Premetto che qui io non sono buon giudice in quanto non amo (non sopporto è dir troppo, ma quasi ci siamo) l’opera buffa, se non approntata da geni (vedi Ponnelle, Ronconi…) e cantata da super. Mi annoiano mortalmente i recitativi e mi irrita la gente che corre su e giù per il palcoscenico gesticolando. Esattamente quanto succede ne “La Gazzetta”, sia pur millantata come “dramma per musica”. Accolta entusiasticamente a Napoli nel 1816, ebbe poi un notevole declino, spodestata, com’era inevitabile, da Barbiere, Italiana, Pietra del paragone e compagnia, che poi vere farse non sono.
Si tratta di due atti (90 e 60 minuti) ripresi da un soggetto goldoniano. È dopo gli interminabili 90 minuti del primo atto che l’opera prende quota: l’azione si accende, la musica anche. Quella, in verità, pure al primo atto serba momenti notevoli: gli assieme, i quintetti, il finale.
La presente edizione offre ai critici l’intrigante aggiunta di un quintetto (mancava all’edizione critica del 2001), ma sfido il pubblico a individuarlo.
La scena è asettica, monocolore. Ambientazione anni ’50, epoca di per sé di non prorompente fascino. E loro, ahimè, quanto si agitano! Il tutto è poi funestato dalla onnipresenza di un mimo (il pur bravissimo Ernesto Lama, docente di laboratori e workshop) costretto a commentare grottescamente ogni parola e azione degli attori, saltellando loro accanto con stucchevoli gesti. Insopportabile.
Si impone il protagonista, il basso napoletano Carlo Lepore, presente al Rof sin dal 1996. Il personaggio, don Pomponio – e già il nome dice tutto: come può, un protagonista, chiamarsi don Pomponio??? – dovendo esprimersi proprio in napoletano, Lepore risulta particolarmente ad hoc. E poi la voce è bella, calda, autorevole. Buoni gli altri. Meno bene le donne. Sul podio sta Carlo Rizzi, a capo dell’orchestra sinfonica G. Rossini. Coro del Teatro della Fortuna diretto da Mirca Rosciani. Niente da eccepire.
Sempre secondo me, il testo del librettista Giuseppe Palomba non aiuta questa “Gazzetta”. È ripetitivo, ovvio, mai spiritoso. Ma qui devo per onestà segnalare che il pubblico, in sala, ride spesso. Con nutriti applausi alla fine. Quindi può darsi che sia tutta colpa mia. È che a me l’opera buffa non fa nemmeno ridere. E con l’età peggioro.
“La Gazzetta” – Repliche sabato 13, lunedì 15, giovedì 18 ore 20.