Pianificare scientificamente le tentazioni. È la strategia dell’iperconsumismo. Ma durerà la società della seduzione?

(di Andrea Bisicchia) Non tanto tempo fa, la seduzione apparteneva all’individuo, alla sua capacità di “portare a sé” l’Altro, per una relazione di tipo amoroso, attraverso l’uso dell’empatia, poiché amare vuol dire anche sedurre ed essere sedotto.
Se, però, dall’individuo si passa alla società, la potenza seduttiva si amplifica, essendo applicata, non solo a categorie tradizionali come bellezza, parola, gesti, tatuaggi, trucco, ma anche a categorie apparentemente improprie che riguardano la politica, il marketing, il consumo, la felicità.
Gilles Lipovetsky, sociologo di fama mondiale, nel suo ultimo libro “Piacere e colpire. La società della seduzione”, Cortina Editore, cerca di farci capire fino a che punto, la seduzione possa essere la strategia più pertinente per codificare un diverso metodo di attrazione, onde “colpire” l’immaginario di colui che viene sedotto e che aspira a essere felice.
In un libro del 2006, sempre edito da Cortina, l’autore si era intrattenuto sul concetto di felicità che definì “paradossale”, perché invenzione della società iperconsumistica. A suo avviso, la rivoluzione edonistica, costruita sull’abbondanza, intesa come sinonimo di felicità, aveva surclassato la rivoluzione di classe, di tipo marxista, perché fondata su uno stato permanente di insoddisfazione, causato da uno strano tasso di libidine sociale che indirizza il desiderio verso tutto ciò che si possa mercificare, come il sesso, il corpo e, persino, la propria intelligenza. Ciò che veramente conta, non è più il piacere della conquista, bensì quello di essere conquistato.
Don Giovanni è, ormai, fuori tempo.
Jean Baudrillard si era occupato dell’argomento durante l’era della rivoluzione sessuale, nel libro edito da ES: “Della seduzione” (1979) definendola “artificio del mondo”, argomento che riprese in “Le strategie fatali”, Feltrinelli 1984, dove sosteneva che “la seduzione è più falsa del falso” e che, “grazie al falso, siamo incuriositi del senso del vero”, come dire che non c’è nulla di più falso della seduzione. Sembra che il primo comandamento sia: lasciati sedurre, in modo che le tue convinzioni siano il risultato della “sovranità” della seduzione, diventata il nuovo imperativo categorico.
L’autore divide il suo lavoro in undici intensi capitoli, attraverso i quali, traccia  anche una storia della seduzione, partendo dalle società paleolitiche, quando nelle tribù si cercava di sedurre con la danza, i colori sul volto, i rituali e le cerimonie, per arrivare ai giorni nostri, ipermoderni e iperconsumistici, grazie all’uso delle industrie del consumo e dei media, la cui parola d’ordine è piacere per poter colpire l’immaginazione attraverso quegli strumenti di seduzione che, scientificamente, pianificano le nostre tentazioni senza mai interromperle.
Nel capitolo con cui inizia la parte seconda, l’autore lascia spazio anche al teatro, sostenendo che, per tanto tempo, il principio della seduzione fosse appartenuto allo spettacolo teatrale, quello che sapeva sedurre la mente e non certo quello dell’ipermodernità che sa sedurre soltanto la vista e che predilige l’effetto all’analisi. Racine, nella prefazione a “Berenice”, scriveva: “La regola principale è quella di piacere e colpire”, che è diventata la formula di Lipovetsky, il quale conclude chiedendosi quanto possa ancora durare la società della seduzione, visto che può produrre dei danni come un’economia capace di creare disoccupazione, o come una vera e propria devastazione culturale. Si tratta di una parentesi breve? O di qualcosa che ci porterà verso il baratro?

Gilles Lipovetsky, “Piacere e colpire. La società della seduzione”, Cortina Editore 2019, pp 414, € 29.