Picasso, il Minotauro e le Metamorfosi. Ovvero il mito e l’arte classica a fondamento della modernità. In 200 opere

Pablo Picasso, “Le Baiser” (Il bacio), 1969. Olio su tela, 97 x 130 cm. Paris, Musée National Picasso

MILANO, giovedì 18 ottobre (di Patrizia Pedrazzini)Se tutte le tappe della mia vita potessero essere rappresentate come punti su una mappa e unite con una linea, il risultato sarebbe la figura del Minotauro”. Rivoluzionario, antesignano, distruttore del bello canonico. Se mai è esistito un artista capace, nell’arco di una lunga vita, di cambiare incessantemente modi e stile, in una continua e fertile metamorfosi, quell’artista è stato Pablo Ruiz y Picasso, nato a Malaga (Andalusia) nel 1881 e morto a Mougins, in Provenza, nel 1973. Con una doverosa precisazione: a cambiare, a modificarsi, per lui e in lui è stata sempre e solo la forma, mai la sostanza.
Milano fu la città che, nell’ormai lontano 1953, Picasso scelse per l’esposizione, nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, di “Guernica”, nell’ambito di una mostra che da allora sarà ricordata come uno dei massimi momenti culturali del Secondo Dopoguerra.
Ora, nello stesso Palazzo Reale, Milano riserva al maestro spagnolo, fino al prossimo 17 febbraio, “Picasso. Metamorfosi”, ovvero il rapporto del pittore con il mito e con l’arte classica. Dove il mito, però, non si limita ad essere un semplice archivio di simboli e modelli, bensì assurge ad archetipo vitale dell’umanità, a espressione primigenia dei sentimenti e del vissuto di ogni uomo. Picasso e il Mediterraneo antico, quello della Grecia, della Spagna, dell’Italia meridionale, delle Cicladi, di Cipro. Quello delle divinità della terra e dell’acqua, dei fauni, dei satiri, delle ninfe e delle menadi. Di Zeus e di Pan. Di Arianna e del Minotauro.
In tutto, 197 opere, ma non tutte di Picasso: 86 hanno provenienze diverse, dalla versione in bronzo del celeberrimo “Il bacio” di Auguste Rodin all’Anfora a figure nere raffigurante Eracle e il toro di Creta (520-500 a.C.), al Cratere a figure rosse con Dioniso, satiri e menadi (390-380 a.C.), alle due fotografie scattate da Jean Cocteau e che ritraggono Picasso e il coreografo Léonide Massine fra gli scavi di Pompei nel 1917.
Prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira, l’esposizione, curata da Pascale Picard, direttrice dei Musei civici di Avignone, parte dalla “Mitologia del Bacio”, incentrata sulle opere di Ingres, Rodin e dello stesso Picasso, per passare alla seconda sezione, intitolata “Arianna tra Minotauro e Fauno”, dove il Minotauro è senza dubbio il mitologico mostro metà uomo e metà toro, ma anche lo stesso pittore, che osserva la sua amante-modella dormire, nel tentativo di ghermirne i sogni, prima ancora del corpo.
È lei, Arianna, la protagonista di tanti nudi distesi con le braccia intorno alla testa. Ed è lui, il Fauno, il lato selvaggio e indomabile dell’umanità, l’incarnazione della ribellione, del desiderio, della devianza, della libertà e della gioia.

Pablo Picasso, “Nu couché” (Nudo disteso), 1932. Olio su tela, 130 x 161,7 cm. Paris, Musée National Picasso.

Quindi, dopo una terza sezione dedicata al Louvre (la cui frequentazione fu fondamentale per la formazione artistica di Picasso), ecco “Le Demoiselles del Dipylon: tra greci, etruschi e iberici”: le esili figure femminili lignee ed essenziali con i seni piccoli e le braccia volte verso l’alto (le stesse che saranno proprie anche dell’arte di Giacometti). Mentre nel “Nudo seduto su fondo verde”, del 1946, c’è tutta la passione del pittore per l’arte delle Cicladi, prosperata nelle isole dell’Egeo fra il 3300 e il 1100 a.C.
La quinta sezione della mostra, “Antropologia dell’antico”, sposta l’attenzione (e l’identificazione) dell’artista su Zeus e su Pan, sul mito della creazione, sul gesto dell’impastare l’argilla, sulla creatività non codificata delle origini e quindi sulla totale libertà espressiva: ecco allora le terrecotte a forma di civette, di anatre, di tutto quel serraglio di animali acquatici che popola i Paesi del Mediterraneo.
Infine, “L’antichità delle metamorfosi”, ovvero: anche l’antico è stato a sua volta moderno. Quell’antico che ha aperto all’artista le strade sulle quali ha costruito la sua versione della modernità. In un continuo confronto fra passato e presente: “Il pittore prende le cose, le distrugge e al tempo stesso dà loro una vita nuova”.
Alchimia? “La donna in giardino”, scultura del 1930 in ferro riciclato e saldato, è dipinta di bianco, come il più classico dei marmi greci. “Perché amo la mia Venere preistorica? Perché nessuno sa niente di lei”.

“Picasso. Metamorfosi”, Milano, Palazzo Reale, fino al 17 febbraio 2019

www.palazzorealemilano.it
www.mostrapicassomilano.it