(di Marisa Marzelli) S’intitola L’inganno il nuovo film di Sofia Coppola. Ma è difficile stabilire con chiarezza chi inganni e chi sia vittima. Perché la vicenda, dietro una solo apparente semplicità, si presta a più interpretazioni, a seconda del punto di vista. Tutta questione di manipolazioni, ambiguità, fraintendimenti.
L’origine de L’inganno – premio per la migliore regia all’ultimo Festival di Cannes – è letteraria. Nasce infatti dal romanzo del 1966 (di fresca ristampa in italiano da DeA Planeta Libri) di Thomas Cullinan (1919-1995). I meno giovani ricorderanno anche la versione cinematografica del 1971 dal titolo La notte brava del soldato Jonathan, diretta da Don Siegel e interpretata da Clint Eastwood.
Sofia Coppola ha mano felice nel filmare storie in costume. Qui siamo in Virginia verso la fine della guerra di secessione. In una grande villa che deve aver visto tempi migliori, una rigida direttrice (Nicole Kidman) gestisce un collegio per signorine, nonostante sia rimasta solo una manciata di allieve. La guerra sembra chiusa fuori dal cancello della villa, dove l’esuberante vegetazione del giardino è diventata una protettiva selva. Passano all’esterno carri sudisti, si alza nel cielo il fumo di lontani incendi, risuonano attutiti gli spari. In questo gineceo organizzato ritualmente come un convento, le ragazze studiano francese e cucito. Finché una delle allieve più giovani, allontanatasi in cerca di funghi, s’imbatte in un isolato soldato nordista gravemente ferito (Colin Farrell) e lo aiuta a raggiungere zoppicando la villa. Per carità cristiana va curato, dice la direttrice, poi verrà consegnato alle truppe confederate: ma non ha intenzione di farlo. Intanto, questo maschio elemento di disturbo, ha minato il precario equilibrio del collegio, scatenando un tumulto di emozioni. La direttrice, l’insegnante di francese (Kirsten Dunst) e un’allieva adolescente (Elle Fanning) reagiscono in modo differente al crescere della tensione erotica e anche le allieve più piccole assumono ingenuamente atteggiamenti civettuoli. Da parte sua lo yankee, personaggio ambiguo (non si capisce bene se è un mercenario o un disertore), usa il proprio fascino per sistemarsi come un gallo nel pollaio. Ma quando le altre lo scopriranno con l’adolescente non certo ritrosa, scatterà la cruenta vendetta.
Il film parte con un andamento lento, soffermandosi su dettagli che si riveleranno più avanti significativi a livello simbolico. Dalla cura degli abiti a quella delle luci, dall’insistenza della macchina da presa sulle erbacce che avvolgono gli alberi del giardino alle composizioni quasi pittoriche del gruppo a tavola, tutto appare quasi una fiaba di cui non si è ancora svelato il lato orrorifico, pronto a esplodere in crescendo. Ma tutto questo con una vena ironica, che emerge soprattutto dai dialoghi, evidenziando la padronanza dell’autrice sul materiale narrativo.
La lettura forse più immediata che balza all’occhio è il differente approccio maschile e femminile ad una situazione di crisi. Infatti, dopo un inizio fatto di buone maniere (ah, la leggendaria cortesia del Sud…), quando le cose precipitano l’uomo s’infuria e cerca di usare la forza, contrastato dalle donne che reagiscono alleandosi per una vendetta senza appello. Un’altra lettura più sottotraccia suggerisce invece che, nonostante la guerra sembri rimasta fuori da questo piccolo mondo chiuso, i meccanismi di rapporti di forza e ricerca di annientare spietatamente il nemico sono simili, nel contesto macro come nel micro. E siccome il racconto suggerisce risvolti psicoanalitici, sono possibili ulteriori riflessioni sull’animo umano. Sottigliezze che il maturo film della Coppola, supportato da un cast riuscito, insinua senza esplicitare. Ci si chiede se siamo di fronte a un dramma psicologico, un thriller, un noir, addirittura un horror.