
Milano. Pia Lanciotti e Elena Ghiaurov in una scena di “Non si sa come” di Pirandello al Piccolo Teatro Grassi (foto Norberth)
(di Paolo A. Paganini) Non c’è storia, non c’è azione. C’è un finale appiccicaticcio, che risolve il dramma nella più consunta delle soluzioni del teatro borghese, un colpo di pistola d’un marito tradito contro l’amico fraterno. Eppure, questo “Non si sa come” di Pirandello (ultimo dramma compiuto del girgentese, nel ’34, prima dell’incompiuto “I giganti della montagna”), vive solo come teatro di parola, e affascina. Oltre il climax della parola, non c’è nessun’altra incursione (che non sia registica). Infiniti monologhi, logorroici travasamenti psichici su come e perché, attanagliano, in un continuo trapanamento delle coscienze, un quintetto di amici della buona società nobil/borghese, che non hanno altro a cui pensare (non avevano certo problemi di disoccupazione, di IMU, di deflazione, termini allora sconosciuti. Il fascismo guardava alle glorie dell’impero e il futuro appariva come un radioso sole che sorge. Anche per Pirandello).
Ebbene, una serena villa di campagna viene travolta da un cascata di parole, di confessioni, di sospetti e gelosie (in tre atti, quasi due ore con un intervallo più un buio per cambio di scena). E continua ad avvincere, a tenere gli spettatori agganciati agli arzigogolamenti mentali del protagonista Romeo Daddi (Sandro Lombardi).
Egli, avendo ucciso, non si sa come, un coetaneo trent’anni prima, e avendo ora tradito, non si sa come, il suo migliore amico, facendosi la di lui consorte in un meriggio di afa, di cicale impazzite, di corpi senza coscienza, questo secondo “delitto” scatena in lui, non si sa come, feroci rigurgiti di penitenziali aspirazioni al martirio per punire le debolezze della carne, che ha ceduto, non si sa come, senza che lui lo volesse. Una stordita e fugace passata di sesso, senza amore, senza desiderio. Un colpo e via andare. E non dovrebbe rimanere nella coscienza se non un’ombra senza ricordi. Senza conseguenze. La temporanea amante Ginevra (Elena Ghiaurov) ritornerebbe così all’amore del marito (Francesco Colella). E Romeo a sua moglie, la fedele Bice (Pia Lanciotti).
Ma se l’uomo è capace di ogni misfatto, senza volerlo, un delitto innocente, insomma, allora tutti sono colpevoli, perché non c’è uomo che non abbia commesso un suo inconsapevole delitto, non si sa come, un delitto perpetrato per debolezza della carne, non dello spirito, magari perfino in sogno, in un sogno di libidini inconfessabili. O in sogno o di fatto, nulla cambia. Se è così, questa cappa di colpevolezza deve calare per forza su tutti: su di sé, sulla moglie fedele, sull’amico fraterno e sua moglie (che ci ha già messo una pietra sopra), sull’innocente amico Nicola Respi (Marco Brinzi), che non c’entra per niente, o quasi, e si prende ogni tipo di colpa, soprattutto come presunto artefice della “pazzia” di Romeo, che ora, in un delirio di purificazione, vuol rivelare a tutti, come appunto farà, il proprio non voluto secondo delitto della carne. Amen.
Con la regia di Federico Tiezzi, al Piccolo Teatro Grassi, il dramma ha avuto un generale consenso di applausi, nonostante qualche squilibrio formale. Avremmo preferito che l’algida atmosfera metafisica rispettasse ancor più una recitazione più interiorizzata, meno passionale, meno espressionisticamente esasperata. Il Romeo Daddi di Sandro Lombardi, con baffi alla Salvador Dalì, figura subito con eccessivi caratteri di patologica esaltazione. È, sì, fuori di sè, come dev’essere, ma è pur sempre uno sciagurato trafitto dai tormenti di un’autocoscienza critica (rimorso?) sulla via dell’espiazione. Ma è piaciuto così. Come sono piaciuti tutti gli interpreti, anche se, a mio giudizio, m’è parsa in parte soprattutto Pia Lanciotti. Ma che forza la Ghiaurov. Un plauso per le voci bene impostate e comprensibili. Finalmente.
“Non si sa come”, di Pirandello. Regia Federico Tiezzi. Al Piccolo Teatro Grassi, Via Rovello, Milano. Repliche fino a domenica 2 febbraio.
Tournée
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