Piscator, il rivoluzionario del teatro tedesco. Via il sipario, largo al cinema. E coinvolgere “politicamente” il pubblico

(di Andrea Bisicchia) Il primo consiglio che ci sentiamo di dare a chi leggerà, per la prima volta, “Il teatro politico” di Ervin Piscator, edito da Meltemi, è quello di capire fino a che punto egli sia stato non solo il teorico di questo “genere”, e pertanto l’ iniziatore dell’Agit Prop, ma anche lo sperimentatore di una scena multiforme, senza sipario, con la capacità di coinvolgere il pubblico e di farlo partecipare, non solo ideologicamente, ma anche fisicamente, grazie a una idea di teatro che non disdegnava i risultati tecnologici del proprio tempo, col ricorso al “girevole” e a delle proiezioni su schermi tripartiti. Questo per dire che Piscator aveva già pensato a un pubblico “immersivo”, come si dice oggi, e che aveva già messo in pratica il rapporto tra palcoscenico e proiezioni cinematografiche, con documenti d’epoca.
Sia ben chiaro, “Il teatro politico” non è solo questo, è anche la storia di un regista che, al pari di Reinhardt, aveva rivoluzionato la scena tedesca dal 1919 al 1939 (anno dell’ascesa di Hitler), e della sua fuga in America, dove aprirà un teatro che sarà frequentato da Judith Malina, Marlon Brando, Toni Curtis, Arthur Miller, Tennessee Williams.
Il volume fu edito da Einaudi, nel 1960, con poco successo, soltanto, nella seconda edizione del 1974, che conteneva una introduzione di Massimo Castri e una prefazione del traduttore Alberto Spaini, entrambe riportate da Meltemi, il successo fu enorme. Perché?  Perché, sulla spinta della rivoluzione sessantottesca, anche in Italia il teatro visse una stagione impegnata politicamente, con l’esperienza del teatro politico di Dario Fo, di Nuova Scena e quello dell’Agit Prop, col suo impegno didattico propagantistico che trattava temi politici in maniera diretta, accompagnati da ideali rivoluzionari.
Dario divenne il caposcuola per coloro che praticavano il Teatro di base, quello che si faceva a contatto col cittadino, col compito di scuotere la sinistra, proponendo argomenti e contenuti di carattere politico che avessero a che fare con lo scontro di classe.
Stiamo cercando di tracciare una similitudine, per capire meglio cosa fosse stato il teatro politico di Piscator e cosa potesse esserci di simile tra la rivoluzione spartachista del 1919 e quella sessantottesca. La prima risposta potrebbe essere la seguente: l’incapacità delle sinistre di ieri e di oggi di elaborare una linea politica che sapesse sovvertire il sistema, sia quello tedesco degli anni postbellici che quello italiano degli anni Settanta, sempre in cerca di compromessi. Un’altra considerazione da fare però è che il teatro, politico o non politico, si fa con i testi e quelli presentati, nel 1927, al Teatro Piscator, non furono certo all’altezza, visto che “Oplà, noi viviamo”, di Toller e “Tamburi nella notte”, di Brecht, non potevano essere considerati testi rivoluzionari, dato che in entrambi la rivolta spartachista si risolveva in chiave moralistica, con i due protagonisti che scelgono, il primo, il suicidio, il secondo l’amore, al posto della rivoluzione.
A dire il vero, forse il testo più politico potrebbe essere “I tessitori” di Hauptmann, capolavoro del Naturalismo, proprio perché trattava la rivolta degli operai della Slesia che furono caricati, durante lo sciopero, dalla polizia governativa. Sempre per capire meglio e continuare col parallelismo, in Italia si segnalava per impegno politico “Nuova scena”, con testi di Dario Fo, mai più ripresi, come “Il telaio” o “Il funerale del padrone”, “Un sogno di sinistra” di Vittorio Franceschi, e “MTM: come rendere musicale e quasi dilettevole ciò che a prima vista sembra sofferenza e fatica”, testo elaborato dal Collettivo su materiale raccolto da Luigi Ferraro e Lidia D’Angelo. Dopo le rappresentazioni, dinanzi a un pubblico di studenti e lavoratori, seguivano dibattiti, con la partecipazione di sindacalisti, operatori teatrali e rappresentanti dei partiti della sinistra.
L’Editore Mazzotta, per l’occasione, aveva pubblicato due volumi con la dicitura “Teatro politico di Dario Fo” e “Teatro politico dell’Associazione Nuova Scena”. Sia dell’esperienza di Piscator che di quella di Nuova Scena sono rimaste le pubblicazioni che hanno, ormai, un valore storico, anche perché quei testi non sono stati mai più ripresi, se non da qualche gruppo giovanile, a dimostrazione del fatto che il vero teatro è sempre politico, anche quando non mette in scena rivoluzioni proletarie.

Ervin Piscator: “IL TEATRO POLITICO”, Meltemi Editore2022, pp. 390, € 25.

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