MILANO, venerdì 7 novembre
(di Carla Maria Casanova) Ieri sera, giovedì, alla Scala, Placido Domingo è subentrato a Leo Nucci nel personaggio di Simon Boccanegra. L’intero cast è cambiato, e così pur il direttore, qui Daniel Barenboim.
È stato un grande successo, nonostante le voci tendenziose che annunciavano che il loggione avrebbe rumoreggiato. Rumoreggiato che cosa? Domingo che continua a cantare, come baritono? (Com’è difficile accontentare tutti). Al richiamo del palcoscenico, è cosa nota, pochissimi sanno resistere. Lo ha fatto (cioè resistere), nella sua grande saggezza, Renata Tebaldi. Non lo sta facendo Domingo, che ha imposto alla sua voce di tenore, di naturale tendenza al colore brunito, di diventare baritono.
Domingo, dovrebbe avere tra i 70 e i 75 anni (taluni da sempre insinuano che sia classe 1935, ma pare fuori luogo). Quando debuttò al Metropolitan (settembre 1968) sostituendo all’improvviso Corelli in “Adriana Lecouvreur”, accanto a Renata Tebaldi, il soprano scrisse in una lettera: “Quel trentenne tenore spagnolo Placido Domingo, sta facendo molto bene. Ha avuto un’ottima accoglienza sia dal pubblico sia dalla critica e con lui lavoro molto volentieri.” Se il “trentenne” vale per buono, come età ci siamo. Di aspetto è un affascinante hidalgo con capelli bianchi (che gli donano molto) e potrebbe ancora interpretare con credibilità assoluta ruoli da appassionato amante. Ma come registro vocale Domingo è un tenore, e in quello di baritono si trova stretto. Per affrontarlo, deve forzare, sopperendo con una gestualità a volte esagerata.
Dimentichiamo il suo Rigoletto per carità. Restano il carisma del divo, il fascino, l’intelligenza, la musicalità, insomma una interpretazione ad alto livello. Ma inferiore a se stesso. Cioè a Domingo tenore. Quando si è stati in vetta, forse è inutile esibirsi a mezza quota.
L’unico vocalmente ineccepibile di questo secondo cast è il tenore Fabio Sartori. Però è difficile, oggigiorno, accettare la stazza fisica, ben superiore al quintale. È corretta la bellissima Tatiana Serjan. Orlin Anastassov, profondissimo Fiesco, ricorda Ghiaurov nel vibrato. Sicuro nell’impegnativo ruolo di Paolo, il giovane Artur Rucinski. Daniel Barenboim è un grande direttore. Non sempre verdiano. Ma dal Simon Boccanegra del 2010 si è messo molto onorevolmente in riga.
Placido Domingo nel “Simon Boccanegra”: sempre grande (ma il ruolo di baritono gli va stretto)
7 Novembre 2014 by