FIRENZE. Domenica 16 settembre ►(di Carla Maria Casanova) A Firenze, seconda “giornata” della trilogia verdiana: “Rigoletto”. Rigoletto non è un’opera che mi faccia impazzire, tanto per dirla tutta. Il punto sta nel come vien data e cantata, ovviamente. Per esempio alla Scala, due anni fa, quando fu protagonista Leo Nucci, che non è provvisto di voce né di volume straordinari, ma che ha cantato la Vendetta in modo tale che è venuto giù il teatro, beh, allora è un’altra faccenda.
Il Rigoletto (interprete) di Firenze, tale Yngve Søberg (baritono norvegese carico di premi, debuttante in Italia) ha corporatura e vocione possenti ed è anche musicale. Quanto a vibrazioni drammatiche, però, deve metterci ancora qualcosa. Non importa che non si presenti con la gobba e il berretto a sonagli (tutti in scena portano qui abiti civili neri) anzi, questo look rigoroso, privo di ammennicoli grotteschi, potrebbe risultare persino più tragico del classico giullare.
Ivan Ayon Rivas (Duca), pure lui svettante, un po’ precipitoso, è parso non molto convinto del suo personaggio. Antipatico o simpatico? Perché per il Duca, mascalzone fin che si vuole, Gilda è “colei che prima potè in questo core destar la fiamma di costanti affetti” e “sappia alfin chi l’ama… il serto mio darei, per consolar quel cor”. Quindi uno slancio di sincerità c’è. Se poi “la donna è mobile…” be’, si sa come sono fatti gli uomini.
Quanto a Gilda (Jessica Nuccio) dall’insipido “Caro nome” a quella lamentevole confessione al padre (“Qual’onta, padre mio”) dove non si capisce bene dove sia l’onta dal momento che era pur quello che voleva (no?), Gilda, dicevo, fatico francamente a mandarla giù. Con simili presupposti, a Rigoletto, intendo l’opera, rimangono poche chances per piacermi.
Ma c’è pur sempre il direttore che, al di là della vicenda, può fornire grande godimento musicale. Così è stato con Fabio Luisi: molta cura per i dettagli e marcata impronta teatrale che mette in evidenza le innovative intenzioni di Verdi. Una direzione asciutta, ma anche slancio melodico, con risalto dei ricchi contrasti orchestrali (bene ottemperati dai complessi del Maggio).
L’allestimento (Francesco Micheli regista, scene Federica Parolini, costumi Alessio Rosati, luci Daniele Naldi) sviluppato su linea unica per tutto il trittico (il tricolore come base e un elemento caratterizzante per ciascuna opera), dopo il colore rosso e l’esercito di burattini per il Trovatore, si avvale questa volta del colore dominante verde e di uno stuolo di maschere, che sottolineano la ambiguità dei personaggi. Ben realizzata la casa di Gilda sui due piani, dove si svolge anche il confronto con il padre. E ben articolata, nella inquietante sequenza del temporale dell’ultimo atto, la catapecchia di Sparafucile (di spicco la truce prestazione di Giorgio Giuseppini, meno, al di là della calzamaglia sexy, quella di Marina Ogii, Maddalena).
Come sempre il Coro si comporta alla grande. Un particolare impatto visivo lo offre la disposizione fronte/verso con le maschere bianche fissate alla nuca.
Applausi per tutti, con la solita punta di dissensi per il team della regia.
Teatro del Maggio Fiorentino – “Rigoletto” di Giuseppe Verdi – 20, 26, 29 settembre. Ore 20
P.S. – La Traviata segue il 21. Dicono che sia lo spettacolo più innovativo dei tre, con soluzioni eccitanti e signore in coppe di champagne. Non riuscirò a vederla adesso, ma conto di recuperarla quando il “trittico verdiano” torna nel cartellone della stagione invernale.