Può l’amore trasformarsi in odio? Sì, se la passione diventa noia e poi violenza. E allora, meglio perdere la memoria

MILANO, venerdì 29 marzo ► (di Paolo A. Paganini) “Odi et amo… Odio e amo… Forse mi chiedi come faccia. / Non lo so, ma sento che ciò accade, e mi tormento”. Così un famoso distico del cisalpino poeta veronese Catullo, ragionando sulla lacerante intensità della passione amorosa per Lesbia, nei suoi opposti sentimenti, consapevole della loro indissolubilità e ineluttabilità. Era il 50 a. C., o giù di lì.
Ora, Eric-Emmanuel Schmitt è un romanziere e drammaturgo francese sulla sessantina, tra i più celebrati in Europa (in Italia, Fantoni, Mauri, Turi Ferro, Haber etc). La sua poetica, dopo più di duemila anni, ci ricorda Catullo, anche se si è arricchita di più soffuse e attuali sfumature psicologiche, talvolta religiose, sui più disparati temi della vita privata e dei rapporti umani. Sostenendo, per inciso, che solo l’indifferenza è atea.
Anche in “Piccoli crimini coniugali” (2003) ritroviamo gli stessi tormenti catulliani. Ma quando mai sono cambiati nei secoli i morsi dell’amore?
Qui, c’è uno scrittore di polizieschi che, a causa d’un incidente domestico, perde memoria e identità. La moglie, sposata con lui da vent’anni, riportatolo a casa dall’ospedale, tenta di fargli recuperare il passato facendogli notare i suoi oggetti più cari, la vecchia comoda poltrona, la disordinata scrivania, le abitudini quotidiane, i ricordi personali. E, a mano a mano che dalla mente riemergono spezzoni di memorie, si fa intenso e violento – e in un primo momento incomprensibile – un ingarbugliato rapporto di “amore e odio” di una coppia che, in tanti anni, ha visto nascere, crescere e finire la passione, come succede all’amore. Quando non è malato. Cioè, a meno che il sentimento dell’uno per l’altra, o dell’altra per l’uno, non diventi una indissolubile e necessaria unità, al di là del bene e del male, quando cioè, dentro l’anima e i pensieri di ciascuno, uno non può più fare a meno dell’altro. Chiamalo vizio, chiamalo amore o odio, o, come amava dire l’amato Diderot di Schmitt (che su di lui si era anche laureato): “I miei pensieri sono le mie puttane”, e non poteva più farne a meno. Ma sempre di amore si tratta. Anche se il sentimento diventa violenza, diventa tentativo di uccidere l’altro, per tentare di spegnere quella passione d’amore che può diventare insopportabile, togliendo sonno, ricordi e abitudini, togliendo insomma anche la memoria e la stessa identità (o fingendone), perché solo con la morte di uno dei due, o con il sonno della memoria, l’amore, forse, s’acquieta nell’eternità d’un dolente ma innocuo ricordo.
In questa lotta fra vincitori e vinti, tra menzogne e infingimenti, tra amore e odio, Michele Placido e Anna Bonaiuto, con “Piccoli crimini coniugali” al Teatro Manzoni, adattamento e regia dello stesso Placido (un’ora e mezzo senza intervallo), diventano un onesto capolavoro di ingenue ma pur sempre criminali malvagità. Che altro non potrebbe l’amore. Piccoli crimini, insomma.
Ma l’operazione drammaturgica, che non è un thriller, è un bellissimo, e tenero, e commosso, e divertito monumento all’amore. E alla sua assurdità. Che altro non è, quando brucia l’anima, annienta il buonsenso, arroventa i pensieri, toglie memoria e dignità.
Anna Bonaiuto ci è molto piaciuta, passando da un asettico enigma di un mistero d’amore alla virulenza d’una incontenibile passione. Michele Placido sta sornionamente al gioco, svelando via via il lato oscuro della passione. Ma lui, nella finzione scenica, è uno scrittore di poco successo ma di profondo e sudato acume. Lei è una ricca, e forse viziata benestante che non ha mai dovuto tirare il carretto, e che non ha altro a cui pensare, se non l’amore. Il rapporto fra i due diventa una ironica e intelligente partita di battute e di ricordi sommersi che via via si svelano. Di grande felicità espressiva, di raro godimento.
Sì, finalmente, in teatro, si parla non solo d’amore. Ma anche d’intelligenza. Bene.

“Piccoli crimini coniugali” di Éric-Emmanuel Schmitt. Con Michele Placido e Anna Bonaiuto. Adattamento e regia di Michele Placido. Al Teatro Manzoni, Via Manzoni 42, Milano. Repliche fino domenica 14 aprile.