Quando dietro l’obbiettivo c’è lei. Alla Triennale in centocinquanta scatti mezzo secolo di fotografie al femminile

Agnese De Donato, "Donne non si nasce, si diventa", 1970

Agnese De Donato, “Donne non si nasce, si diventa”, 1970

MILANO, martedì 4 ottobre – (di Patrizia Pedrazzini) Donne e fotografia. Apparentemente, una superflua ovvietà. Di fatto, non tanto. Benché infatti non siano state poche le donne che, già nella prima metà dell’Ottocento, hanno scelto la fotografia come loro campo professionale e strumento espressivo, in realtà, almeno in Italia, per assistere all’ingresso nei circuiti culturali di fotografe, fotoreporter e artiste, bisogna attendere gli anni Sessanta del secolo scorso. Dopodiché tutto diventa, ovviamente, più facile. Così come ovvia è la considerazione per la quale questa piccola grande “rivoluzione” sia da addebitarsi ai repentini cambiamenti sociali di quel decennio (e di quello successivo), nonché alle lotte femministe.
Bene, a tutto questo è dedicata la mostra “L’altro sguardo. Fotografe italiane 1965-2015”, alla Triennale di Milano fino all’8 gennaio. Più di 150 foto (soprattutto in bianco e nero ma anche a colori), firmate da una cinquantina di fotografe appartenenti, ovviamente, a generazioni diverse. Il che consente all’esposizione di spaziare dai lavori “pionieristici” di autrici quali Letizia Battaglia, Carla Cerati, Paola Mattioli, alle ultime “sperimentazioni” di Silvia Camporesi o di Moira Ricci. Più nel concreto, dalla fotografia di reportage e di denuncia sociale al rapporto tra immagine e pensiero femminista, alla rappresentazione delle relazioni affettive, alle nuove potenzialità espressive della fotografia. Che sono poi le quattro sezioni nelle quali la mostra è stata cronologicamente distribuita.
Così l’esposizione, frutto della Collezione della fotografa Donata Pizzi (e per la prima volta della partnership fra la Triennale di Milano e il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo) intende non solo fotografare i mutamenti culturali, estetici e tecnologici della seconda metà del Novecento, ma farlo in un certo senso “al femminile”. Puntando l’obbiettivo sul corpo e sulle sue trasformazioni, sulle istanze personali, sul vissuto quotidiano e familiare, sul rapporto fra memoria privata e memoria collettiva. Ecco allora, bellissima, di Gabriella Mercadini, “Ospedale San Giacomo, reparto interruzione di gravidanza”, Roma 1978. Ma anche il superbo ritratto, sempre della Mercadini, di Marco Pannella, del ’76. O il livido “Donna vicino al cadavere di un uomo a Mariupol” (2014) di Francesca Volpi. O tanti altri scatti, nessuno dei quali meno degno di nota o di riflessione.
Quanto poi all’ovvia, ma inevitabile domanda, se e come una foto scattata da una donna sia o possa essere diversa da una foto scattata da un uomo, al visitatore la personale risposta.
Anche se, davanti alle istantanee di Curcio e di Calvi, di Sindona e di Liggio, di Tassan Din e delle ragazze di Prima Linea firmate, fra il 1980 e l’83, da Giovanna Borgese, la risposta è “No”. Non c’è differenza. Una bella foto è sempre, e soltanto, una bella foto.

“L’altro sguardo. Fotografe italiane 1965-2015”, Triennale di Milano, viale Alemagna 6. Fino all’8 gennaio 2017