MILANO, giovedì 15 gennaio ♦
(di Paolo A. Paganini) Francesca Serra, scrittrice, critica e studiosa di letteratura italiana, ha tratteggiato un quadro psicologico provocatorio, osservando il singolare atteggiamento delle donne in alcune opere pittoriche del Settecento, raffigurate nell’atto della lettura d’un romanzo: con una mano sorreggono il libro, e l’altra mano la tengono sul sesso. Nella realtà, sostiene la Serra, il romanzo, nel Settecento, fu un vero shock culturale, addrittura definito “prostituzione culturale”, e le donne bollate come “porno lettrici”. Cita anche Jean-Jacques Rousseau, e ne riporta la scandalosa affermazione che i romanzi sverginano le ragazze. Insomma, nel Settecento, nonostante l’imperante illuminismo, il romanzo rappresentò un vero sputtanamento culturale.
Tutto ciò, ad altro ancora, è stato l’interessante prologo, all’Out Off, dello spettacolo “La donna che legge”, che Renato Gabrielli, autore teatrale, sceneggiatore e docente, ha ricavato dal pamphlet di Francesca Serra, “Le brave ragazze non leggono romanzi” (Ed. Bollati Boringhieri, 2011).
Diciamo subito che il testo teatrale non è così intrigante come ci si sarebbe aspettato dopo le parole introduttive, provocatorie e preparatorie della Serra. Semmai è intrigante, ora, solo da un punto di vista della teatralità, e non per questioni di sverginamenti o d’altri sputtanamenti.
In un rigoroso, teso e vagamente angosciante allestimento, a firma di Lorenzo Loris, lo spettacolo (90 minuti senza intervallo) è spiazzante, fuor di sintassi, dodecafonico, scardinato da ogni schema, che non siano quelli dettati da un percorso interiore, fatto di attese, di aspri e ambigui rapporti, secondo la misteriosa grammatica di sentimenti senza un perché, di spiegazioni senza una ragione, di azioni senza uno scopo. Come la vita, insomma, che segue le incomprensibili tracce di misteriosi percosi carsici, per concludersi e sciogliersi nell’inevitabilità di quell’immenso mare finale dove tutto si perde.
La storia prende l’avvio da quanto enunciato nel titolo. C’è una ragazza, che legge accanitamente Joyce, sulla spiaggia d’un sonnolento e provinciale paese di mare. Un maturo e benestante avvocato è attratto dalla visione di quella ragazza immersa nella lettura, e con il tramite d’una ex collega (già partner d’una vecchia storia) propone alla ragazza di risolverle tutti i suoi problemi economici in cambio di poterla contemplare, un’ora al giorno, mentre legge. La ragazza, che odia la morta gora intellettuale di quel suo paese, monotono, abitudinario, accetta anche per la speranza di poterne così evadere, grazie alla munifica offerta dell’avvocato. Ma, si sa, non c’è scampo alla provincia. Intanto, di pagina in pagina, la trama s’infittisce di viscidi avvicinamenti sentimentali, dove i tre personaggi s’incuneano reciprocamente in un privato di grovigli sentimentali “in un’atmosfera di sospensione angosciante … carica di conflitti sottaciuti o inesplosi… un conflitto tra sessi che non deflagra mai veramente...” (Gabrielli).
I tre interpreti dell’inquietante vicenda, sono Massimiliano Speziani, il maturo e psichicamente (?) disturbato avvocato: bravissimo nella sua scatenata irrequietezza; Cinzia Spanò, ex collega ed ex amante, ed ancora inutilmente protettiva intravedendo il disastro finale: brava misurata intensa; e Alessia Giangiuliani, la giovane inquieta smaniosa di fuga e che finirà – ovviamente – per essere fagocitata dalla provincia, sposata bene, grassa e felice, ormai dimentica di evasioni e di letture, specie di Joyce: brava e sensibile nel passare dalle inquietudini alla pace dei sensi.
Calorosi applausi alla fine per tutti, interpreti autore e regista.
“La donna che legge”, di Renato Gabrielli, regia di Lorenzo Loris. Al Teatro Out Off, Via Mac Mahon 16, Milano. Repliche fino a domenica 8 febbraio.