Quando la scena deve tener conto dell’assetto urbano. Per armonizzare pensiero, parola e uso della macchina scenica

(di Andrea Bisicchia) Vittorio Fiore, architetto,Vito Martelliano, urbanista, in un volume, pubblicato da Lettera Ventidue: “Le città del Teatro Greco – Letture tra scenografia e realtà urbana”, analizzano lo spazio del teatro, differenziandolo, però, dal “luogo” della scena, costretto a subire graduali trasformazioni correlate col cambiamento dell’assetto urbano, che ha modificato la percezione della sua forma iniziale. Entrambi sanno bene che lo spazio sia il luogo dove agiscono sia la parola che il pensiero e che, pertanto, l’uso che se ne fa debba essere rapportato a simili considerazioni, essendo, nelle regie contemporanee, soggetto a confrontarsi col mistilinguismo delle arti visive, sonore, architettoniche.
Oggetto del contendere è la macchina scenica che, pur essendo usata come un utensile antico, i famosi “Periactoi”, abbonda di congegni che la rendono sempre più indispensabile alle esigenze della scena di oggi. Ricordo un seminario, tenuto al Politecnico di Milano, nel lontano 1996, presso il dipartimento di Progettazione dell’Architettura che aveva aperto le proprie impostazioni disciplinari anche al teatro, per sperimentare il rapporto esistente tra spazio architettonico e spazio teatrale, onde ricercarne le relazioni originarie con i teatri dell’antica Grecia, durante il quale, Giancarlo Consonni, allievo di Rogers, disse che esse avevano in comune il linguaggio dei corpi, il quale precede la parola e va oltre il dicibile. Due anni dopo, furono pubblicati da Laterza gli Atti col titolo “Teatro, Corpo, Architettura”.
Sono passati vent’anni, da allora gli studi su simili rapporti si sono moltiplicati, tanto che esiste una vasta bibliografia. Il lavoro di ricerca di Fiore e Martelliano contribuisce notevolmente a evidenziare il supporto necessario della macchina scenica, luogo nel quale la complessità degli effetti moderni ha persino bisogno di un adeguato linguaggio teorico. I registi di oggi, che fanno ampio uso di tale macchina scenica, generalmente la definiscono “scenografia in movimento”, come sostengono Bob Wilson e Robert Lepage, i quali, alla complessità della tecnologia, oppongono la semplicità estetica, grazie anche al sapiente uso dell’ingegneria meccanica. Fiore e Martelliano si soffermano, soprattutto, sul rapporto teatro e città, sulla dimensione urbanistica e quella sociale, ma, nello stesso tempo, dopo aver esaminato le messinscene di tragedie e commedie, realizzate al Teatro Greco di Siracusa, accompagnate dalla lettura critica degli allestimenti, ricordano come, nel passato, siano state le città le vere protagoniste degli eventi tragici, come Atene, Tebe, Argo, Lemno, Naxsos e Creta. Vittorio Fiore fa riferimento alle intuizioni di Barthes, per la potenza del teatro en plein air e a quelle di Cruciani per quanto riguarda il linguaggio scenico.
Il problema si acuisce quando occorra risolvere quello dell’area archeologica, dinanzi all’aggressione edilizia della Neapolis, come sottolinea Martelliano. Il volume, che continua un percorso dell’INDA, iniziato un quindicennio fa, col convegno “Il teatro e la città, poetica e politica nel dramma attico del quinto secolo”, i cui Atti furono pubblicati dall’editore Palumbo, contiene interventi di Elena Servito su come approntare una mostra, di Angela Gallaro Goracci sullo spettacolo del pubblico, di Edoardo Dotto sulle rappresentazioni grafiche e sul loro modo di raccontare per sintesi, di Antonio Gualtieri su lo spazio scenico per “I sette a Tebe”. Notevole il contributo iconografico.

Vittorio Fiore, Vito Martelliano, “Le città del Teatro Greco – Letture tra scenografia e realtà urbana”, Editore Lettera Ventidue, 2018, pp. 180, € 18.