Quando l’analisi del testo passò ai professionisti dell’inconscio. E furono studiati, oltre ai personaggi, anche i loro autori

(di Andrea Bisicchia) Prima dell’avvento della psicanalisi, spettava agli scrittori e ai drammaturghi indagare l’animo umano, erano loro i veri analisti, quelli che mettevano, al centro della narrazione, la psiche dei loro protagonisti. L’intervento era di tipo psicologico e, non certo, di tipo psicoanalitico. Con la nascita di questa scienza, il testimone è passato ai professionisti dell’inconscio, a coloro che analizzano, non soltanto l’io interiore dei personaggi, ma anche quello dei loro autori. Questo passaggio è dovuto alla consapevolezza che le caratteristiche dell’io esteriore siano imparentate con la felicità e i mascheramenti del mondo in cui vive, tanto che la doppiezza dell’io è vissuta come un vero  pericolo, proprio perché aderisce alla frantumazione della coscienza e all’alterazione della personalità, come la definì Binet.
In Italia, la scienza psicanalitica fu osteggiata da Croce e Gentile, per i quali tale pratica non aveva nulla in comune con la filosofia dello spirito, a cui spettava il compito di indagare l’animo umano: ad entrambi importava rinvenire, in un’opera d’arte, i valori poetici, non ammettevano che la letteratura o il teatro potessero influenzare la psicanalisi e che, molti dei loro personaggi, avessero bisogno del divano di Freud.
Carlo Di Lieto che aveva pubblicato: “Chi ha paura della psicanalisi? Il lato oscuro della mente”, ritorna sull’argomento, con un testo di approfondimento: «L’“io diviso” – La letteratura e il piacere dell’analisi», edito da Marsilio, un volume composito, ricco di apparati bibliografici, dove l’autore, in tre lunghi capitoli, scardina il mito della malattia mentale, all’interno del quale, i personaggi di spicco, sottoposti all’intervento analitico, sono i protagonisti del Don Chisciotte, dei fratelli Karamazov, del Sosia, di “Memorie del sottosuolo”, dello “Strano caso di Dottor Jekyll e del signor Hyde”, figure dissociate che vivono il dramma dello sdoppiamento, della nevrosi, della follia, dell’ossessione, del delirio, perché afflitte di quel “male oscuro” che sarà argomento del secondo capitolo: “L’alterità e la proliferazione dell’io”.
In questo, un ampio saggio, è dedicato al teatro dei miti di Pirandello, quello di: “La nuova colonia” , “Lazzaro”, “I giganti della montagna”, nel quale Di Lieto dà il meglio di sé, ponendo alla base della sua ricerca il saggio sull'”umorismo”, nel quale Pirandello spiegava già il dramma della scomposizione, dovuto all’intervento della riflessione che si è assunta un simile compito.
Per Di Lieto, le narrazioni mitiche non sono altro che combinazione di sogno e realtà, nella quali l’immaginazione è utilizzata come possibile soluzione dell’io diviso, sempre angosciato, a causa del mondo esterno che si mostra brutale e che sconvolge l’io interiore. Nel terzo capitolo, che ha per titolo: “il doppio e l’io centrifugo, Di Lieto indaga personaggi come Madame Bovary, Oblomov, Leopold Bloom che, sottoposti al processo analitico, evidenziano ancora di più l’instabilità dell’io.

Carlo Di Lieto, «L’“io diviso” – La letteratura e il piacere dell’analisi»Marsilio 2017 – pp 440 – € 35.