Quando l’incomunicabilità diventa la trama d’un “silenzio grande”. E, fra giallo e commedia, infine si sfiora la tragedia

MILANO, venerdì 7 febbraio ► (di Paolo A. Paganini) La vita è fatta di silenzi piccoli, quelli che ciascuno tiene dentro di sé, che agli altri non servono o non interessano. Sono piccoli misteri, che, in silenzio, possono essere consolatori o disperati, angelici o tenebrosi, nobilitanti o infami. Nostri problemi quotidiani, problemi piccoli. Ma il fatto è che tanti problemi piccoli fanno un problema grande; tanti misteri piccoli fanno un mistero grande; tanti silenzi piccoli fanno un silenzio grande. E tutto diventa ingestibile. Per non averne parlato prima. Per averne escluso chi ci vuol bene.
La nostra vita, impastata di silenzi piccoli, di misteri piccoli, di problemi piccoli, forma così l’illusoria tela di una rassegnata incomprensione, mosaico di tutte quelle tessere piccole che la compongono.
I silenzi piccoli sono uno sciame fastidioso e innocuo. Li comprendiamo e, per pigrizia, indolenza o incapacità, pensiamo di tenerli in pugno. Ma quando diventano grandi si fanno ingombranti e inesorabilmente ingestibili. Eppoi, tutto sommato, i silenzi piccoli sappiamo cosa sono. Un mistero grande cos’è?
Se l’è domandato Maurizio de Giovanni, scrittore napoletano, autore di noir, di mistery e creatore delle inchieste del Commissario Ricciardi, ma anche romanziere, autore di racconti e soggettista. Ed ora drammaturgo. Appunto con “Il silenzio grande”, in scena al Carcano: più di 2 ore con un intervallo.
Praticamente un dramma spaccato in due.
La prima parte ha l’andamento formale della commedia eduardiana, ironica e di astuta scrittura, anche se scontata.
Narra di uno scrittore di successo. Vive sepolto nel suo studio/biblioteca, con vista sul Golfo. Tiene famiglia, ma non gliene frega più di tanto. Contraccambiato. Ha due figli, un trentenne inetto, di buona istruzione e gay; e una figlia ventenne, adorante del celebre padre, del quale ricerca tracce, con bramosie sessuali, in vecchi amanti in mutande. Da uno di loro, intellettuale, mediocre e sposato, rimane incinta. E poi c’è la moglie, infelice, che da anni si arrabatta a far quadrare i conti di famiglia. In questo eremo di polvere e libri, lo scrittore conduce vita monastica, desolata e sterile. Senza più vena e vocazione. La sua unica consolazione è la fedele domestica, ignorante ma sensibile e comprensiva. Sua è la frase: “Tanti piccoli silenzi danno vita a un silenzio grande”.
E il giorno del “silenzio grande” arriva.
È il giorno in cui tutti i silenzi piccoli si ricompongono in una trama unica e grande, fatale e inesorabile. E tutto precipita in un sol giorno. Quando arriva la folgorazione di un dramma impensato. Così, si rivelano allo stordito scrittore confessioni sena pudori: il figlio non l’ama, è gay, e non sopporta il padre; la figlia, pur amatissima, è una specie di Lolita senza pace e con un figlio ingombrante in grembo; e la moglie, infelice e persa, gli rivela che son finiti i soldi, la stessa domestica non  è pagata da due anni, le banche non fanno più crediti, e bisogna vendere la vecchia, grande e bella casa.
Dopo un’ora e dieci, fine della prima parte.
Maurizio de Giovanni, come in un giallo, ha creato il climax incalzante di una tensione che va dalla commedia all’incombenza della tragedia. Ma come venirne fuori? Il primo tempo ha già la sua naturale conclusione nella catastrofe, in una fine inesorabile. Senza speranze. È giunto il momento del silenzio grande. Non c’è più nulla da dire. Zitti.
Ma un giallista, una vecchia volpe come De Giovanni, sa che non può finire così.
E il secondo tempo – da rimanere sconcertati, senza parole – lo lasceremo tutto alla curiosità dei lettori e degli spettatori. Come ogni buon giallo che si rispetti.
La compagnia, diretta da Alessandro Gassmann (sempre più bravo e d’imprevedibili magie: vedasi anche l’utilizzo di fantasmici e stupendi ologrammi), è composta da cinque attori, che stanno al gioco in un affascinante dentro e fuori nello studio dello scrittore, in quello strano, unico e fatidico giorno, in cui, dopo tanti anni, tutti i silenzi piccoli di quella incomunicabile famiglia diventano l’agghiacciante rivelazione d’un unico tragico silenzio grande. Quando ormai non c‘è più nulla da fare.
Massimiliano Gallo è il celebre scrittore, ormai vinto, piegato, sopraffatto, patetico e dolente. Che bravo. Ha, tra l’altro, una “spalla” drammaturgicamente perfetta, la domestica (Monica Nappo): origliatrice e misteriosa, sa tutto, capisce tutto, angelo consolatore e confidente. Stefania Rocca, la moglie, Jacopo Sorbini (il figlio) e Paola Senatore (la figlia), personaggi abbozzati ma incisivi, non al centro dell’azione, fanno la loro bella figura. E di più non avrebbero potuto. Bene.
Pubblico da grandi occasioni. E tutti infine felicemente plaudenti.

IL SILENZIO GRANDE di Maurizio de Giovanni. Regia di Alessandro Gassmann. Con Massimiliano Gallo, Stefania Rocca, Paola Senatore, Jacopo Sorbini, Monica Nappo. Al Teatro Carcano, Corso d Porta Romana 63, Milano – Prenotazioni: 02 55181377 | 02 55181362 – Repliche fino a domenica 16 febbraio.
www.teatrocarcano.com

TOURNÉE
Como, Teatro Sociale (18 e 19 febbraio);
Rimini, Teatro Amintore Galli (20 – 22 febbraio).