Quando, nell’Umanesimo, l’uomo era un dio al centro dell’universo. E, oggi, ai margini della cultura e della dignità

(di Andrea Bisicchia) In un secolo come il nostro, dominato dalla tecnologia, può sembrare incredibile il bisogno di misurarsi con le scienze umanistiche. Eppure non mancano gli studiosi che ci riportano “All’età dell’oro”, titolo di un volume miscellaneo, appena pubblicato da Marsilio, a cura di Carlo Chiurco, o che riscoprono illustri umanisti come Giannozzo Manetti (1396-1459) o come Ambrogio Traversari (1386-1439), maestro di quest’ultimo, a cui Marzia Pontone, qualche anno fa, ha dedicato un volume edito da Aragno.
L’editore Bompiani – Giunti, non è nuovo a queste riscoperte, nella collana fondata da Giovanni Reale e diretta da Maria Bettetini, tutte con testo latino a fronte. “Dignità ed eccellenza dell’uomo”, con dotta introduzione di Stefano U. Baldassarri e con l’attenta e filologica cura di Giuseppe Marcellino, è il titolo del volume di Manetti, pubblicato per la prima volta, di cui è importante riferire la data di composizione, 1452, perché nel 1486 verrà pubblicato il testo più noto: “De dignitate hominis” di Pico della Mirandola, che porterà alle estreme conseguenze le tesi sostenute dal Manetti.
Come è noto, durante il secolo XV vengono pubblicati una serie di trattati che, rifacendosi alla cultura classica, portano l’uomo al centro dell’universo, scardinando le teorie medioevali che avevano posto Dio al centro dell’universo. Il tema della dignità dell’uomo che, attraversa gran parte della cultura occidentale, non credo che sia di attualità, vista la degradazione di oggi, dovuta alla società dei consumi, dove vali, non per quel che pensi, ma per quel che sei capace a fare, ma dovuta anche al predominio economico della grande finanza e delle banche internazionali, per le quali la dignità dell’uomo non conta nulla.
Manetti era un ottimo conoscitore della filosofia antica, quella dei Sapienti, come Talete, Anassimandro, Anassimene, Pitagora, Platone e, soprattutto, Aristotele, il cui pensiero e le cui opere cercherà di coniugare con quelle di Lattanzio e di Cicerone, autori più volte citati nel testo che Manetti dedica, secondo la consuetudine del tempo, ad Alfonso d’Aragona, suo mecenate, nella quale illustra il suo lavoro che divide in quattro parti.
Nella prima, si sofferma sul corpo umano, creato da Dio, formandolo in modo da poter contemplare il suo artefice. L’autore ha sempre presenti le Sacre Scritture che commenta contro ogni forma di epicureismo.
Nella seconda tratta il problema dell’immortalità dell’anima, ricordando il testo di Lattanzio: “Il capolavoro umano”, nel quale, però, venivano espressi dei dubbi sui rapporti anima e corpo, confrontandosi, nel frattempo, con i Sapienti e con Aristotele, oltre che con Cicerone, secondo il quale, l’anima contribuisce alla perfezione del corpo umano.
Nella terza parte, si sofferma sull’uomo visto nella sua totalità, differenziando le funzioni del corpo da quelle dell’anima di cui esalta l’immortalità, essendo opera della creazione di Dio da cui ha ottenuto la dignità suprema, come sosterrà anche Pico della Mirandola.
Nella quarta parte, Manetti confuta gli scritti di molti autori antichi e moderni, rispondendo alle obiezioni circa la fragilità del corpo e alla “viltà” dell’anima, affetta da tormenti e sofferenze. A suo avviso, si tratta soltanto di diffamazioni perché l’anima è il riflesso della virtù, grazie alla quale l’uomo assapora la beatitudine dell’immortalità che, a sua volta, rispecchia la bellezza  dell’universo.
Per chi volesse approfondire questi argomenti, consiglierei: “Umanesimo. Il lato incompiuto della modernità”, di Marco Pellegrini (2015), edito dalla Morcelliana.

Giannozzo Manetti, “Dignità ed eccellenza dell’uomo”, Editore Bompiani 2018, pp 360, € 18.