(di Marisa Marzelli) Per palati raffinati. Nulla è lasciato al caso ma non tutto è spiegato e qualcosa rimane all’interpretazione del singolo spettatore. Il senso estetico sfiora appena l’esercizio di stile. Storia complessa,strutturata su vari piani, ben controllati dalla regia. Si esce dalla proiezione con addosso un senso di malinconia, di rimpianto. È un film di raro equilibrio Animali notturni scritto, diretto e co-prodotto da Tom Ford, famoso stilista internazionale qui alla seconda prova registica, sette anni dopo A Single Man. Un film d’autore, con classe, sensibilità e sostanza.
Vincitore all’ultima Mostra di Venezia del Gran Premio della Giuria, Animali notturni è tratto dal romanzo Tony & Susan di Austin Wright, del 1993 (in italiano lo ripubblica Adelphi). Si racconta, con alcune varianti rispetto al libro, di Susan (Amy Adams), ricca gallerista alla moda, insoddisfatta e tradita dal marito (ArmieHammer). Un giorno riceve un pacco con il manoscritto di un romanzo dal titolo Animali notturni, dedicato a lei. Gliel’ha spedito il primo marito, Edward (Jake Gyllenhaal),abbandonato vent’anni prima quando erano giovani e lei, ritenendolo un perdente, si era convinta che non avrebbe potuto darle l’agiatezza a cui aspirava. Susan si mette a leggere, sempre più coinvolta. Ricordando che l’ex-marito la definiva un animale notturno per via dell’insonnia. Ma ora, a metà strada nel cammino della vita, quali animali notturni si rivelano prede e quali predatori?
I piani narrativi – portati avanti contemporaneamente – sono tre. Il mondo algido alto-borghese in cui oggi si muove Susan, i flashback dell’amore con Edward e il romanzo (un cupo thriller ambientato in Texas su una famigliola sequestrata da alcuni balordi che uccidono moglie e figlia e sulla vendetta del marito che è stato incapace di difendere le due donne).
Tom Ford ha dichiarato che “Animali notturni è una parabola sul venire a patti con le scelte che facciamo nel corso della nostra vita e con le conseguenze che le nostre decisioni possono comportare”.
Se questa è la chiave di lettura suggerita, il regista la esplicita con un gioco di specchi in cui nel thriller dentro il film il protagonista è sempre interpretato da Gyllenhaal, mentre la moglie è Isla Fisher, che qui somiglia alla Adams. Vediamo il brutale noir di fiction con gli occhi di Susan, la quale interpreta la metafora contenuta nel romanzo scritto dall’ex-marito alla luce dei ricordi.
Ma il succo non è tutto qui, perché se si parla di quanto i sentimenti privati possano diventare devastanti c’è anche una riflessione più ampia su una società agiata e cinica e sull’estetica dell’arte moderna (col prevalere del brutto e del disfacimento?). In quest’ultimo caso si tratta della lunga sequenza iniziale in cui ballerine nude e obese danzano esibendo carni flaccide e corpi deformi, che ricordano i quadri di Bacon, in una performance-evento molto apprezzata nella galleria di Susan.
In ogni caso, una mediazione psicoanalitica va applicata per raffrontare le narrazioni parallele: quella del noir sulle polverose strade texane (girato con i giusti e violenti stilemi del genere e atmosfere da incubo quasi alla Lynch) e la decodificazione che ne fa Susan addentrandosi sempre più nella lettura. Lettura che le procura una tensione foriera di incombente resa dei conti con le proprie scelte passate e conseguenze presenti. Come appunto sintetizza Ford nella sua dichiarazione.
Attenzione anche al finale (senza svelarlo) perché psicologicamente sottile, sebbene in apparenza non si verifichi alcun eclatante colpo di scena. Susan va all’appuntamento che le ha chiesto l’ex-marito in un ristorante di lusso, per avere un suo giudizio sul libro, ma…
Inutile dire che in un film così articolato ogni componente deve incastrarsi con armonia nell’insieme. Dalle musiche giuste agli ambienti, scenografie, abiti, al complicato (ma non confuso) montaggio.
Tutti con le facce giuste gli attori, anche quelli con ruoli minori, da Laura Linney (ha una sola scena e interpreta la madre della protagonista, la quale scopre di essere diventata arida e calcolatrice come la genitrice, cosa che non avrebbe mai voluto) a Michael Shannon, lo sceriffo disilluso del thriller, difensore della legge secondo un personale codice di coincidenza tra giustizia e vendetta; all’inquietante Aaron Taylor-Johnson, capobranco della gang texana. Con una nota di merito particolare per Gyllenhaal e la Adams, non solo efficacemente in parte, ma credibili anche quando nei flashback interpretano i rispettivi personaggi a vent’anni.
Quasi un esercizio di stile in un cupo e complesso thriller. Dove tutto s’incastra alla perfezione, dalle scene agli attori
16 Novembre 2016 by