Quegli incredibili stupefacenti anni Settanta. Quando anche il teatro abbandonò il passato. E scoprì la sperimentazione

(di Andrea Bisicchia) – Gli anni Settanta, per parecchi di noi, sono stati anni di formazione verso il “nuovo”, ovvero verso un invito ad abbandonare fonti culturali acquisite per prepararci alla stagione della sperimentazione, la stessa che investì il teatro, la musica, la performance. Si parlò, allora, di un secondo avanguardismo, che, partendo dal Futurismo e dal Dada, ci permetteva di riflettere sul rapporto tra l’immobilismo estetico della cultura precedente e lo sperimentalismo del decennio 1968-1978.
Forse eravamo impreparati a ciò che stava accadendo, però, volevamo renderci conto delle novità che arrivavano, soprattutto dall’America cercando di partecipare, come spettatori, agli spettacoli teatrali e musicali che vedevano una larga presenza di giovani (che non sempre accettavano, supinamente, ciò che vedevano o ascoltavano).
Fummo testimoni di un periodo straordinario, fatto di spettacoli rimasti nella nostra memoria, come “Einstein On the Beach”, di Philip Glass e Robert Wilson, visto al Teatro Nazionale nel 1976, esauritissimo, come lo fu il Teatro Lirico dove, nel 1977, debuttò “Empty Words” di John Cage, che noi conoscemmo al Teatro Out-OFF, dove tenne una conferenza stampa, prima del debutto. Di quest’opera musicale ci fu proposta la terza parte perché, se fosse stata seguita interamente, sarebbe durata 10 ore. Fummo testimoni di una serata che divise il pubblico, tanto che alcuni degli spettatori urlanti salirono sul palcoscenico, per disturbare la performance di Cage che stava seduto con un piccolo tavolino a fronte, dove leggeva e a suo modo “recitava” il suo testo.
La provocazione aveva fatto centro, proprio come lo aveva fatto: “4’33”, la notissima performance, in tre movimenti, che prese il titolo dalla sua durata, che aveva per protagonista un pianista, con dinanzi a sé la partitura, il quale apriva il pianoforte per ben tre volte, senza suonare, ma rispettando i tempi: primo movimento 30 secondi, secondo movimento 2 minuti e 23 secondi, terzo movimento 1 minuto e 40 secondi. Capimmo quanto, per Cage, la vita fosse suono e non sogno. Bruno Maderna, per l’occasione, disse: “Non possiamo non dirci cageani”: mentre Roberto Leydi ne approfittò per ospitarlo in una trasmissione televisiva della RAI.
Erano gli anni della controcultura, teorizzata da un altro americano: Theodore Roszak, quando si era convinti che solo col dissenso si potesse produrre una nuova cultura, ed erano anche gli anni dell’arrivo a Milano del Living. Questa situazione era stata percepita da Primo Moroni e dal suo collaboratore Ermanno Guarnieri, fondatore della casa editrice SHAKE che nel 2008 aveva pubblicato, di Cage, “Silenzio”, subito esaurito, ristampato recentemente, dal Saggiatore. Il libro raccoglieva una serie di saggi con cui Cage teorizzava il suo abbandono della tradizione, ritenendo il Silenzio una condizione necessaria per l’ascolto di rumori e suoni appartenenti all’ambiente, al quale, secondo lui, bisognava abbandonarsi, perché i suoni che ne scaturiscono hanno una loro logica, quella che lascia al caso il modo di usarli.
Il libro “Un anno, a partire da lunedì. Dopo il silenzio”, edito da SHAKE, è necessario per approfondire lo sperimentalismo di Cage, oltre che le sue varie fasi, quella post Schoenberg, quella del minimalismo, della musica aleatoria, con la sua imprevedibilità e indeterminatezza. Cage, che si interessava di arte figurativa, di filosofia e di scienza, aveva realizzato musicalmente il “Principio di indeterminazione” che aveva fruttato il premio Nobel ad Heisenberg e che lui aveva applicato anche alla scrittura, come si evince leggendo le pagine delle sue Conferenze, dei Diari che ci illuminano sul suo modo di comporre fuori da ogni prodotto finito, avvalendosi di apparati elettronici e strumentali con i quali intensificava le sue ricerche.
Nel volume sono molte le citazioni, a cominciare da McLuhan, il quale sosteneva che la cultura fosse cambiata dal Rinascimento a oggi, oltre che noto per la sua concezione dei Medium che, a suo avviso, sono più importanti del messaggio e non viceversa.
Si può affermare che, con Cage, Ives, Glass e il Jazz, l’America avesse cambiato la stessa concezione dell’universo musicale, fatto di ibridazioni di stili, di elementi eterodossi, con risultati imprevedibili, così come erano state imprevedibili le pitture di Pollock o Duchamp. Per Cage, l’elettronica aveva ceato un nuovo alfabeto musicale, persino con la capacità di cogliere l’infinito, la cui sorgente sonora poteva essere trasormata in un linguaggio apparentemente inconfondibile. Il libro, raffinato editorialmente, si consiglia a tutti coloro che desiderano conoscere un autore e una stagione certamente irripetibile.

John Cage: “UN ANNO, A PARTIRE DA LUNEDI – Dopo il silenzio”, edito da SHAKE 2023, Classici della musica, pp.166, € 25.