Quel gran guazzabuglio wagneriano tra sacro e profano (con scene di porno-seduzione). Ma la musica, ah, sublime!

Fondazione Teatro La Fenice.  RICHARD WAGNER: TANNHÄUSER. 
Direttore Omer Meir Wellber.  Regia Calixto Bieito

VENEZIA, sabato 21 gennaio ► (di Carla Maria Casanova) Alla fine del secondo atto, uno (ciè la scrivente) dice:  “E con Tannhauser ho chiuso”. Poi, per dovere professionale, rimane fino in fondo e, dopo l’ultima mezz’ora del terzo atto, deve tornare sui suoi propositi.
Tannhӓuser è l’opera di Wagner meno popolare, la meno eseguita. Quando apparve a Dresda per la prima volta (1845) non ebbe molta fortuna. A Parigi (1861), fu addirittura un fiasco clamoroso. Subì vari ripensamenti. A una settimana dalla morte (Venezia 1883) Wagner confidò a Cosima di essere debitore al suo pubblico di Tannhӓuser. Voleva praticamente riscriverlo.
Adesso, nonostante tutto, cioè, nonostante il terzo atto ecc, uno (sempre chi scrive) si domanda: “E se, invece di riscriverlo, l’avesse lasciato lì e dimenticato del tutto?”
Con quel po’ di capolavori che Wagner sfornò e dove praticamente si ritrovano quasi tutti i temi di Tannhauser, forse di questa matrice si potrebbe fare a meno. Quattro ore di spettacolo: 200 minuti pari paridi musica (+ 40’ di due intervalli). Ma i minuti di musica del Parsifal sono circa 240 e nessuno si sogna di eccepire.
I testi delle opere di Wagner (di suo pugno anch’essi) sono per la maggior parte improponibili, ma non è certo il caso di fare le pulci ai testi delle opere liriche, improponibile per eccellenza e oltre tutto per la maggior parte anche scritti malissimo, mentre questi non lo sono. Solo che in Wagner è fastidiosissimo quella promiscuità di sacro e profano, quel pensiero di Dio in bocca a un miscredente che Dio non sa nemmeno dove stia, ammesso che creda che esista. Wagner fa di ogni erba un fascio, mischia santi e sconcezze, storia e leggenda, religione e blasfemia, un guazzabuglio insopportabile.
Naturalmente i registi (certi) ci sguazzano. Uno di questi Calixto Bieito, spagnolo classe 1963, uscito dalla pregiata ditta catalana Fura dels Baus. Dice, Calixto, di aver sempre avuto “la fissa” dell’amor sacro e amor profano. Tannhauser, prima opera che vide e che sempre lo ha ossessionato, è dunque suo pane, soprattutto per il versante profano. In scena, riesce a far stuprare (“quasi”, dice qualcuno) persino Elisabetta, la creatura angelica per antonomasia, quella che offre la sua vita per redimere l’amato Tannhauser, il quale, recatosi in pellegrinaggio a Roma per aver il perdono del papa per i suoi peccaminosi carnali trascorsi sul monte di Venere, ne riceve invece netto rifiuto e allora è molto, molto disperato e pronto a ritornare sul lubrico monte a fare le brutte cose. Per fortuna, in extremis, un collega cantore profferisce il nome di Elisabetta e allora lui, lui Tannhauser, ha un repentino ripensamento e viene dal cielo graziato. (Finale del Mefistofele, con la redenzione di Margherita, e anche della suicida suor Angelica).
Banale che più banale non si può. Ma, in quest’ultimo atto wagneriano, la musica diventa veramente sublime e allora facciamo un taglio a qualsiasi altra considerazione. Va bene così.
L’opera è in scena alla Fenice (in tutto il secolo XX fu in cartellone 4 volte. Si è già detto che è il titolo di Wagner meno rappresentato). La sua pagina più nota è il celeberrimo Coro dei pellegrini. C’è anche il lunghissimo drammatico monologo di Tannhauser del terzo atto, ma chi lo conosce.
Omer Meir Wellber (classe 1981) è la prima volta che lo dirige. Avendo già un percorso wagneriano nel suo curriculum, affronta la partitura con grande devozione ed egregi risultati. L’orchestra della Fenice, con back round di gusto teutonico, lavora molto bene. Il cast è formato da esperti (l’opera è cantata in tedesco). In particolare, il protagonista Stefan Vinke ha voce poderosa, forse un po’ troppo per la nicchia raccolta del teatro veneziano. Vocalmente importante anche Christoph Pohl (Wolfram). Venere ed Elisabetta (amor profano e amor sacro) sono i due fulcri di tutta la storia. La prima, Austrine Stundyte, più che Venere è una virago pazzesca e infatti Tannhauser soccombe più di una volta. (Vuoi mettere le sue furie belluine in caso di abbandono, con la nobile castità della reazione di Norma “Vanne sì, mi lascia indegno?”). Ma questo è il libretto e soprattutto il sentire di Calixto Beito che impone scene di porno-seduzione quasi intollerabili in un teatro lirico. La seconda, Liene Kinča, sembra una signorina che non sa troppo quello che vuole e, prima di sacrificarsi per la redenzione dell’arrapato Tannhauser, magari un pensierino ce l’avrebbe fatto. A Calixto dobbiamo comunque la pregevole idea di aver disegnato le due donne l’una in proiezione specchiante dell’altra. E bene anche come ha risolto la difficile competizione tra i cantori. Le scene sono semplicissime: grandi pilastri, grandi piante. Luce abbagliante. Successo.

“Tannahuser”, di Richard Wagner, al Teatro La Fenice, Venezia. Direttore Omer Meir Welber. Regia Calixto Bieito. Orchestra e Coro del Teatro La Fenice. Repliche: martedì 24, sabato 28, mercoledì 1 febbraio, domenica 5 febbraio.
La recita di sabato di sabato 28 sarà trasmessa in diretta su:
www.culturebox.fr
e in differita su:
France 2 e Mezzo