MILANO, venerdì 13 gennaio ► (di Paolo A. Paganini) Nella nota critica di introduzione al testo della “Locandiera” (1752), ed. Einaudi, a cura di Kurt Ringger, vengono riconosciuti a questa commedia i caratteri del capolavoro, anche se viene evidenziato che “rimane sempre qualcosa di irrisolto”. Nelle innumeri rappresentazioni della commedia, han provveduto i registi a metterci abbondantemente mano per risolvere l’irrisolto. Soprattutto si sono applicati nell’approfondire o a stravolgere i risvolti psicologici dei personaggi, i loro umori, i sedimenti morali, i fanfaronismi, gli eccessi, le ipocondrie, le accidie, gli spasimi amorosi dello scorbutico Cavaliere, del pavoneggiante Conte e dello squattrinato Marchese, girandoli e rigirandoli, tra il serio e il faceto, un po’ per ridere un po’ per non morir.
E tuttavia “non possono essere definiti macchiette”, perché “tutto è così sobriamente calcolato e disposto… da escludere ogni interpretazione in chiave macchiettistica”. E poi perché, secondo Ringger, tutto “è imperniato su due temi: la passione e la finzione”, la passione degli spasimanti e la finzione di Mirandolina, la disinvolta “locandiera”, che tutto sommato si fa gioco di tutto e di tutti, eccetto dell’oculata gestione della locanda, che gestisce con spregiudicatezza da abile imprenditrice, e da bugiarda millantatrice, geniale artefice di lusinghe, promesse e seduzioni, vero centro motore di tutta la vicenda.
Alla fine, si sa, come succede spesso anche nella vita reale, i nodi vengono al pettine. Mirandolina si rende conto che quel mondo fittizio di inganni, finzioni, lusinghe e piaggerie sta per crollarle addosso. E allora, giustificandosi che “è stato uno scherzo”, non le rimane che che raccattare e sposare il fedele e da sempre innamorato cameriere, Fabrizio, per avere un straccio d’uomo che la difenda.
Di tutta la mess’in scena, nell’allestimento di Andrea Chiodi al Teatro Carcano, dopo un’ora e trentacinque senza intervallo, l’amaro e crudo finale, così vero, così giusto, con Mirandolina sola in scena, e forse d’ora in poi anche nella vita, è stato il momento che ci è piaciuto di più.
Per il resto, per quanto abbiamo sopra anticipato, si sarà capito che questa “Locandiera” non ci è piaciuta. Tutto volutamente giocato su una interminabile sequenza di travestimenti e di macchiette, appunto le inutili macchiette, più a sproposito che funzionali, scorre all’insegna dell’eccesso, dell’esagerato, con il precipuo scopo di far ridere a tutti i costi.
Con due attori e tre attrici è andato in scena uno sfrenato fregolismo di nevrotici cambi di costume bianchi da prima comunione. E così, di quadro in quadro, facevano ora da maschi ora da femmine. Solo Mirandolina è rimasta fedele al suo genere, per non snaturare del tutto le sue perfidie seduttive. Ed anche il Marchese ha mantenuto i suoi caratteri primigeni, perché sarebbe stato impossibile fargli assumere più ruoli, così ambiguamente ancorato agli eccessi farseschi del suo azzimato e ridicolo cicisbeismo.
La scena, inoltre, era studiata per dare una mano ai vari trsformismi: cinque maxi grucce da guardaroba o da sartoria, dove ciascuno si serviva a vista. Così come ciascuno, finita la sua performance, si ritirava a vista sotto il lungo tavolo, a sottolineare eventuali controcanti o a servire, da sotto il ripostiglio, i vari oggetti di scena.
Risultato? Un gran ridere. E applausi anche a scena aperta per la generosa dedizione dei cinque attori, eclettici in un continuo e forzoso strabismo: un occhio a Goldoni e un altro alle gag della commedia con musiche, o al varietà. Potevano far da tentazione le canzoni “Fiorin Fiorello”, “Porta un bacione a Firenze”, “È primavera svegliatevi bambine”…
“LA LOCANDIERA”, di Carlo Goldoni, con Caterina Carpio, Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Emiliano Masala, Francesca Porrini – Scene e costumi Margherita Baldoni – Regia Andrea Chiodi – Repliche fino a domenica 22 gennaio. TEATRO CARCANO – corso di Porta Romana, 63 – Milano.