“Ricciardo”, guerre e amori, e un pallosissimo primo atto. Ma poi arrivano Pretty Yende e il “divo” Juan Diego Florez

Pretty Yende e Juan Diego Florez in una scena di “Ricciardo e Zoraide”

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PESARO, domenica 12 agosto ► (di Carla Maria Casanova) “Tutta Pesaro impazza. È Festivàle” diremo “alla” Traviata. Città in festa. Il ROF (Rossini Opera Festival) si è inaugurato ieri sera con “Ricciardo e Zoraide”, qui comparso in cartellone per la prima volta nel 1990 (una ripresa nel 1996). È titolo desueto, ma quest’anno ricorrono i suoi 200 anni di vita. E il ROF li festeggia.
Quando compose il “Ricciardo” (1818) Rossini aveva 26 anni. A suo attivo contava una fitta schiera di titoli, buffi e seri, da “Cenerentola” a “Italiana in Algeri”, “Otello”, “Mosè”, “Armida”, “Il barbiere di Siviglia”. Diciamo i suoi più grandi successi. “Ricciardo” non entrò in questo novero.
Risentito ieri (dopo il 1990) mi par di capire il motivo. Il primo atto (95 minuti) è in verità pallosissimo. La vicenda si svolge nel regno della Nubia (storica patria di Aida!) ma qui siamo ai tempi delle Crociate. Si tratta di guerre e di amori, come al solito complicatissimi e contrastati, cui si aggiunge un fastidioso e impiccione amore paterno. In sostanza non succede niente. Solo il Coro, con i suoi commenti via via di giubilo o di sconforto, sembra prendere parte a quanto accade.
Nonostante la musica, bella sì, ma quei recitativi!! lo spettatore si sveglia dall’immancabile torpore sul finire del primo atto (facciamo a 75 minuti dall’inizio) al suono squillante e seducente della voce di Pretty Yende, che canta “Amor!”, cui seguono altri “Amor” dei due tenori. Poi incalzano duetti, terzetti, fino a un Tutti (a sei) cantati in proscenio.
Oso azzardare: se nel primo atto si cominciasse da qui, il godimento sarebbe assicurato. Ma come si fa a tagliare tanta bella musica? Già, non si può. Certo che i recitativi mettono a dura prova. Finalmente, nell’atto secondo tutto si muove. Nonostante il perdurare dei triti avvenimenti, si partecipa a quanto avviene in palcoscenico. È da dire che c’è un cast di gran pregio.

Una scena d’insieme di “Ricciardo e Zoraide”. A sin.: Juan Diego Florez; in centro: Pretty Yende

Protagonisti Juan Diego Florez e Pretty Yende. Florez è un divo assoluto, il tenore dal do facile per antonomasia. La sua voce, se non ha timbro di particolare fascino, fatale caratteristica dei registri di agilità, rientra nel settore dei fenomeni, perfetta come una equazione algebrica, con valenza tecnica strepitosa. Lui è oramai una icona (la sua auto ha targa personalizzata, con sigla che porta le iniziali del suo nome JDF). Uguale fama ebbe negli anni ’60 la leggendaria sua connazionale Yma Sumac, l’usignolo delle Ande (compii prodezze per andare ad ascoltarla). Nel “Ricciardo”, accanto a Florez svetta Pretty Yende, già allieva della scuola di perfezionamento della Scala, oramai assurta a un posto d’onore nel firmamento musicale internazionale. È graziosa, canta bene e con timbro e colore vocale molto belli (qualità rare).
Possente è l”altro” tenore (Agorante) Sergey Romanovsky con voce baritonale dal colore brunito, mentre Nicola Uliveri sfoggia una nuova possanza irrompendo in scena alla grande, nella pur breve parte di Ircano, il ballo impiccione. Assai seducente (applauso a scena aperta) il mezzosoprano Victoria Yarovaya (Zomira), la moglie tradita che alla fine riconquista il marito farfallone. Questo florilegio, forse non sempre sorretto con sufficiente trasporto dalla bacchetta del marchigiano Giacomo Sagripanti a capo dell’Orchestra Nazionale della Rai, serve a risarcire lo stanco spettatore.
L’allestimento (regia del canadese Marshall Pynkoski, scene Gerard Gauci, costumi Michael Gianfrancesco) è concepito come un grande affresco tradizionale occupato da una opulenta tenda di accampamento bellico, poi da una struttura fissa ad arcate con fondale di paesaggio marino. Le masse si muovono geometriche e compassate, i frequenti spazi orchestrali sono riempiti da stereotipati balletti. Un grazie di cuore comunque a Pynkoski per avere scartato la solita trasposizione in epoca attuale, con l’immancabile situazione di conflitto mussulmani-cristiani.
Il “Ricciardo” è un “dramma serio”. Un Rossini dove non si sorride, e tanto meno ride, mai. Vien fatto allora di domandarsi come sia stata possibile, per l’edizione 1990, una delle realizzazioni più spassose – e premiate – mai apparse al Rof. Era regista Luca Ronconi che, con una irresistibile lettura ironica, aveva sistemato l’azione nel deserto, con una tale quantità di rocambolesche invenzioni da suscitare in teatro reali scoppi di ilarità. Persino gli orpelli dei costumi erano comici. Quando si dice la regia. Certo, si trattava di Ronconi. Per fortuna (o purtroppo) il tempo passa e la memoria non sempre è lunga. Niente paragoni.
“Ricciardo e Zoraide” 2018, 150° anniversario rossiniano, ha avuto ieri sera all’Atlantic Arena del ROF esauritissima (1200 posti) un’accoglienza trionfale.

Repliche 14, 17, 20 agosto, ore 20