Ricordo d’un Maestro. Esperienze rituali e ludiche. Dalla parola al ritmo. Rivendicando al corpo il diritto di esistere

(di Andrea Bisicchia) Il teatro, spesso, ha la memoria corta, tanto da dimenticare, un po’ frettolosamente, alcuni suoi maestri. Nell’Università Cattolica di Milano, dove era nata la prima cattedra di Storia del Teatro, Mario Apollonio fu maestro di molti di noi, Sisto Dalla Palma lo ebbe come tale, insieme a Bettetini, Arruga, Testori che, però, scelse di laurearsi in Storia dell’Arte.
I maestri indicano una linea, spetta ai discepoli andare oltre, cosa che fece Sisto Dalla Palma, perché convinto che, essendo il teatro soggetto alla scena dei mutamenti, indirizzò i suoi studi al completamento di quelli di Apollonio, ovvero, non verso un teatro istituzionale e convenzionale, ma verso un teatro aperto, capace di far convivere il Rito col Gioco, la scena onirica con quella drammatica, la teatralità da palcoscenico con la teatralità diffusa, la medesima che permette una transizione verso nuove forme di teatralità che Sisto Dalla Palma teorizza e storicizza alla luce dei mutamenti sociali e antropologici, soprattutto, dopo la rivoluzione sessantottesca, quando si verificò la moltiplicazione dei modelli teatrali che coincise, a sua volta, col pluralismo delle culture che mise in discussione l’ordine stesso della rappresentazione, soggetta a modelli di decostruzione e di riteatralizzazione.
All’inizio del terzo millennio, Vita e Pensiero pubblicò due volumi di Dalla Palma, fondamentali per capire, in che modo, il nuovo secolo si approcciasse al teatro, “Il teatro e gli orizzonti del sacro” e “La scena dei mutamenti” (2001), in una collana che propose alcuni titoli eccellenti, dovuti alle ricerche di Annamaria Cascetta, Roberta Carpani, Claudio Bernardi, Aldo Grasso, Alessandro Pontremoli.
Nel “Teatro dei mutamenti”, la storiografia si imbatte, spesso, nella cronaca, perché lo statuto storico della rappresentazione dovette fare i conti con l’avvento delle culture, tipiche degli anni Settanta, quelle del Collettivo, delle Cooperative, dei Gruppi, oltre che della drammaturgia performativa che riscoprì la funzione del corpo e del rito, attraverso le esperienze del Living, di Grotowski, di Barba e le teorizzazioni di Schechner.
Sisto Della Palma sosteneva, allora, che il teatro non era più in grado di interpretare le aspettative della società, avendo perso gran parte della sua coscienza critica, tanto che annunciava la fine di un ciclo e il tramonto di un sistema che, per riattivarsi, doveva permettere, al teatro, di riscoprire la purezza delle origini. Così fece del CRT (Centro di Ricerca per il Teatro), il luogo dove potesse realizzarsi l’idea di un “Terzo Teatro” che abbattesse “la tirannia” degli Stabili, e, in particolare, del Piccolo Teatro, dove si poteva assistere a manufatti culturali, diventati, col tempo, a suo avviso, alquanto scontati, essendo sottoposti a una sorta di meccanicità delle realizzazioni sceniche e delle nostre stesse abitudini.
In quegli anni, i progetti teatrali subivano una particolare inflazione, dovuta al “già visto” e al loro essere funzionali al sistema, occorrevano, pertanto, strategie alternative che riscoprissero i concetti di Festa e di Comunità, che fossero capaci di contrapporre, a una drammaturgia “grafocentrica”, una “scenocentrica”, che favorisse una trasmigrazione che desse, al testo, una nuova funzione, un diverso dispositivo relazionale e una più accentuata tensione comunicativa.
In genere, il divenire delle arti e, quindi, anche del teatro, è proprio dovuto ai mutamenti delle forme rappresentative, alla creazione di nuovi spazi immaginari, ai Riti di passaggio, teorizzati magnificamente da Turner. Una simile trasmigrazione, a sua volta, permetterebbe l’accesso alla discontinuità, la sola ad essere capace di cogliere le nuove tensioni antropologiche e di dare spazio ai “saperi tecnici”, per sostituire quelli della scrittura, a vantaggio di uno “statu nascenti” che sapesse abbattere il reticolo delle forme, per proiettare lo spettacolo verso esperienze di tipo rituali e ludiche, non, però, con l’utilizzo di una facile improvvisazione, bensì attraverso un rigore che permetterebbe di mettere in pratica le nuove valenze, lavorando, non più sulla parola, ma sul ritmo, nel momento in cui il corpo fa irruzione sulla scena per rivendicare le sue ragioni di esistere.

Sisto Dalla Palma, “LA SCENA DEI MUTAMENTI”, Vita e Pensiero 2001, pp. 226, € 20,00

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