Rinasce il Teatro Burri e così, dopo venticinque anni, Milano sana un’antica ferita, barbara e insensata

Milano. Alberto Burri, nel 1973, al Parco Sempione, durante la costruzione del suo teatro

Milano. Alberto Burri, nel 1973, al Parco Sempione, durante la costruzione del suo teatro

SABATO 9 AGOSTO (di Paolo A. Paganini) Milano è una strana città. Pragmatica, laboriosa, intraprendente, affarista, mercantile, con uno spiccato piacere creativo, estetico e impresariale per la moda e l’edilizia. Una volta lo era per l’arte, per le lettere, per l’editoria. Poi, negli anni, è successo qualcosa, di cui s’interesseranno gli storici del costume e i sociologi. A noi l’argomento interessa solo da un punto di vista della cronaca, solo per constatare che la città è diventata sempre più indifferente ai beni comuni (difficile e imbarazzante sarebbe parlare di bene comune). Mi riferisco in specie a un tragico fenomeno che, limitandoci grosso modo agli Anni Ottanta (ma con clamorose tendenze anche precedenti), ebbe allora una sua rappresentativa peculiarità: la scomparsa dei teatri.
In ordine sparso, senza voler storicizzare gli eventi, e senza elenchi precisi, abbiamo un po’ alla volta assistito alla fine di celebri sale: il Ciak (quello storico di Leo Wachter); il Teatro Odeon di Remigio Paone, divenuto multisala cinematografica; il Teatro Gerolamo (in eterna ristrutturazione); il Teatro di Porta Romana, azzerato per essere destinato ad altri scopi; il Teatro Lirico, da anni “in sonno”; il cine-teatro Poliziano; e poi illustri cabaret, dal Derby al Refettorio, alla Bullona. Ultimissimo nella lista, lo Smeraldo, divenuto centro commerciale.
I milanesi, a fronte di queste e altre scomparse, rimasero sempre indifferenti. In parole povere, non gliene fregò niente a nessuno. Il simbolo più scandaloso e sconcertante di questo straordinario atteggiamento dei milanesi fu determinato dalla scomparsa del Teatro Burri, al centro del Parco Sempione, singolare ed essenziale struttura in cemento e pietra (ad onor del vero, più monumentale che funzionale), con quinte che delimitavano, da una parte, lo sfondo del Castello e, dall’altra, l’Arco della Pace. Questo teatro all’aperto, ormai degradato, come se si fosse improvvisamente involato o inabissato, scomparve, sparì nel nulla, nel senso letterale del termine. Da una settimana all’altra, non si vide più e nessuno ne seppe più niente. Ma nessuno perse il sonno e l’appetito. Salvo Alberto Burri, che in segno di protesta nei confronti del Comune di Milano (che ne aveva autorizzato la distruzione) dichiarò che mai e poi mai avrebbe ancora esposto le sue opere a Milano.
Questa sua grande struttura all’aperto era stata realizzata nel 1973, in occasione della XV Triennale. Era il 1989 quando sparì dal Parco Sempione. Per Burri, artista scontroso, irascibile, di poche parole (anche se capace di improvvise dolcezze), l’affronto fu insanabile. Per gli indifferenti milanesi c’erano cose più importanti alle quali pensare. E, con un’alzata di spalle, cominciarono ad imparare l’arte dell’indifferenza…
Ora, nella spasmodica frenesia che precede l’Expo 2015, se ne annuncia la ricostruzione. La giunta milanese ha infatti accettato la donazione della Fondazione Burri di Città di Castello (città natale dell’artista), anche in occasione del centenario della sua nascita (1915-1995). Su una base di cemento lunga 17 metri e larga dieci, con sei quinte in acciaio, il teatro sarà ricostruito secondo i disegni originali di Burri. La manutenzione della nuova struttura sarà affidata alla Triennale. Per il Comune di Milano avrà praticamente costo zero, ma assume ugualmente un grande significato, un importante passo simbolico dell’Amministrazione, per sanare un’antica ferita, già definita “barbara e insensata”.