MILANO, giovedì 11 gennaio ► (di Paolo A. Paganini) Il Rione Sanità ha cambiato Sindaco. Più di cinquant’anni fa, c’era il “notabile” Antonio Barracano, che, secondo l’immaginifico storiografo d’invenzioni teatrali, Eduardo De Filippo, era un uomo d’ordine, che aveva capito fin da giovane la differenza tra Giustizia e Legge. La Giustizia rientra per sua natura nel diritto della morale, la Legge rientra nella morale del diritto degli uomini di farsene una, o più d’una, per far rigare, con regolamenti di civile convivenza, o di comoda opportunità, il comportamento delle umane genti. La Morale qui non c’entra. Hai sbagliato? Paghi, e tutto finisce lì. Se poi in busta c’infili anche qualche souvenir monetario, finisce anche prima. La Legge riguarda la conoscenza, cioè le regole della società nella quale si vive; la Giustizia riguarda il cuore, l’onore, la carità, la compassione, cioè l’umanità, fin da quando si viene al mondo.
Il Sindaco” del Rione Sanità, contro i soprusi, le malefatte dei potenti contro i deboli, le violenze delle Leggi contro poveretti o indifesi, aveva scelto la Giustizia, in una sua speciale accezione della filosofia morale, non da avvocato ma da paladino della Giustizia e dell’amore per un’umanità derelitta. Un sant’uomo, insomma. In Eduardo non c’era la cultura dei metodi mafiosi, dei Padrini, della Camorra. Lui veniva ancora prima, veniva da lontano, da un’antica morale, archetipo di una giustizia pervasa di Verità. Cose d’altri tempi. Passati. Per sempre.
E così deve aver ragionato il regista Mario Martone, che ha fatto un’operazione teatrale di stupefacente impatto drammaturgico, rivoluzionario e sconcertante. In altre parole, Eduardo avrebbe scritto oggi “Il Sindaco del Rione Sanità” come l’aveva concepito nel 1960? No, allora era un uomo con le stigmate della santità, quasi un oggetto di culto come San Gennaro. Questo faceva i miracoli, quello faceva giustizia. Tanto vale allora lasciarlo nel suo antico tabernacolo laico.
Dunque, dopo quasi sessant’anni, come sarebbe stato, oggi, Antonio Barracano?
Ecco allora la versione secondo Martone: un giovane eroe di quartiere, una specie di leggendario Robin Hood (toglieva ai ricchi per darlo ai poveri) in quell’ideale foresta di Sherwood, cioè Napoli, dove vive con la sua banda di teppistelli non sempre d’immacolata fedina penale. Al posto dello spiccio e bonaccione Frate Tuck, ora c’è un caritatevole chirurgo impegnato a togliere pallottole dalle gambe e a curare pance aperte dal coltello. Come capitò realmente ad Antonio Barracano nell’ultimo tentativo di ottenere giustizia per costringere un vecchio padre, avaro ed egoista, a riconoscere i diritti d’un giovane figlio, spiantato e con fidanzata incinta.
In un temerario salto indietro, mi è caro di ricordare, all’inizio egli anni Sessanta, l’interpretazione dello stesso Eduardo nel “Sindaco del Rione Sanità”, al Nuovo. Ne uscii sconvolto ed entusiasta. Sentivo, in Eduardo, la stessa potenza di un classico greco. Napoli era scomparsa. Lì c’era, ora, che so, la reggia di Corinto, c’era Medea, c’era Edipo, c’era Agamennone, c’era Fedra… C’era Eduardo, immortale ed eterno, come Sofocle, come Eschilo.
Poi non l’ho più ritrovato. Né in Turi Ferro, nella sua trasposizione sicula, né in Carlo Giuffrè, pur così intenso, né – ultimo – in Eros Pagni, che più di tutti s’è avvicinato al Don Antonio eduardiano.
Ecco, dunque, nella sede storica del Piccolo Teatro, in Via Rovello, la versione attualizzata di Mario Martone. Sulla scena essenziale di Carmine Guarino, si muove un popolo d’una una ventina di personaggi (coinvolti anche giovani di quartiere), che ancora fanno rivivere il dramma dell’ignoranza e della povertà. Ma se Eduardo faceva pietosamente salire ai piani alti di un’ideale Giustizia la tetra purulenza dei bassi napoletani, in una redenzione di giustizia, Martone la fa implodere nell’anima di questo giovane Robin Hood napoletano, con violenza, irruenza, determinazione, ora carezzevoli ora incontenibili. L’uomo giusto Antonio Barracano (Francesco Di Leva) ora è come posseduto da una fanatizzata esaltazione divina, per far trionfare, da illuminato Padrino, la giustizia in terra per chi non tiene santi in cielo.
Non scandalizzerà nessuno questo nuovo Sindaco del Rione Sanità. Anzi, in un’ora e quarantacinque di spettacolo senza intervallo il pubblico ne esce entusiasta e turbato, come in un nostro rimembrato passato. Un modesto codicillo finale, che nulla toglie allo straordinario fascino di questa nuova impostazione. Forse nasce il sospetto di una involontaria apologia della violenza. A fin di bene, d’accordo. Ma volano troppi schiaffi e prepotenze corporali. Come a dire che non ci sono altri mezzi per far capire agli ottusi che – oggi – sarebbe l’unico mezzo per ottenere giustizia…
“Il sindaco del Rione Sanità”, di Eduardo De Filippo, regia Mario Martone, con Francesco Di Leva, Giovanni Ludeno, con la partecipazione di Massimiliano Gallo, e con Adriano Pantaleo, Giuseppe Gaudino, Daniela Ioia, Gennaro Di Colandrea, Viviana Cangiano, Salvatore Presutto, Lucienne Perreca, Mimmo Esposito, Morena Di Leva, Ralph P, Armando De Giulio, Daniele Baselice – Al Piccolo Teatro Grassi (Via Rovello, 2 – Milano) fino a domenica 28 gennaio.
Informazioni e prenotazioni 0242411889
www.piccoloteatro.org