(di Andrea Bisicchia) Marcel Granet (1884-1940) è stato un sinologo sui generis, oltre che storico delle religioni e sociologo. Di lui, Adelphi ha pubblicato alcuni studi esemplari, ricordo, tra i tanti, “Il pensiero cinese”, nel quale l’autore ricorre ad alcune categorie guida, attraverso le quali esso si è manifestato, categorie che ha applicato allo studio delle feste, delle canzoni, dei culti, che ritroviamo utilizzate in “Danze e leggende dell’antica Cina”, Adelphi.
Definito uno dei libri essenziali del Novecento, il volume è diviso in tre parti: “Sacrifici di danzatori e di capi”, “La creazione di un ordine nuovo”, “Sacrificio dell’eroe e danza dinastica”, l’ambientazione è quella della Cina arcaica, il materiale è tratto da poemi mitologici, leggende, canzoni, racconti, drammi rituali, cerimonie, agiografie, trionfi.
Granet non li ha classificati con pedanteria filologica, né tanto meno facendo uso di una serrata cronologia, li ha semplicemente utilizzati così come sono, pur nella forma di frammenti e di centone, anche quando si tratta di documenti poveri che, ai fini della ricostruzione storica, possono rivelarsi preziosi. L’intervento di Granet è, soprattutto, di tipo sociologico, la sua analisi preferisce non l’individuo, ma le categorie basate sulle generazioni, sul sesso, sulle regole esogamiche, sulle famiglie, sui gruppi, sulle comunità, sulle dinastie. La regola esogamica, che ha come fondamento la separazione dei sessi, era fondamentale, sia se applicata al mondo del lavoro che a quello delle “Feste nel Luogo Santo”, dove si evidenziava il prestigio del capo.
Granet è consapevole che la lingua cinese arcaica fosse stata contaminata con quella dei Birmani o dei Tibetani, a causa delle loro invasioni che, però, a suo avviso, contribuivano allo sviluppo non solo del linguaggio, ma anche dei rituali. Ciò che colpisce è l’importanza che l’autore assegna al sacrificio che sta a base della fondazione sociale e politica di un popolo. Nel Capitolo dedicato ai sacrifici di danzatori e di capi, Granet, attraverso i documenti più ricchi e complessi che appartengono al periodo delle “Primavere e degli Autunni”, la cui stesura è attribuita a Confucio, e che risalgono alla storia della Signoria di Lou, si attarda su come dovrà essere un vero capo, sulle sue capacità di scegliere i consiglieri, i vassalli, sulle offerte agli dei, ma anche sull’uso politico dell’Harem e, infine, sull’importanza del sacrificio, dato che il sacrificio distrugge, ma, nello stesso tempo, consacra, uccide un essere, ma ne libera l’anima.
Dietro i sacrifici, c’erano i riti, le cerimonie, le danze, i funerali che si trasformavano in vere e proprie rappresentazioni sceniche. La elaborazione del lutto era un’occasione, non solo per ascoltare il suono del lamento, ovvero il registro epressivo del dolore, ma era anche un modo di sfoggiare il lusso, ovvero di celebrare un trionfo, che in Grecia si esprimeva attraverso la tragedia e in Cina attraverso la danza. Il lutto era legato al sacrificio, spesso, anche umano, che si esprimeva con canti di trionfo, danze e racconti orali,con aneddoti e leggende che diventeranno documenti adatti a essere trasformati in fatti storici. Dietro i trionfi c’erano storie di tradimenti, di litigi, tanto che fu necessario creare un “Ordine nuovo”, con cui far prevalere la forza della virtù.
Granet offre al lettore la ricostruzione di un’epoca che fa pensare come quanto accadesse nella Cina arcaica non fosse tanto diverso da ciò che accadeva nella Grecia arcaica, entrambe erano affascinate dalla tendenza a credere nell’invisibile, proprio perché l’uomo ha bisogno di crearsi delle Entità superiori per sconfiggere il dolore e i mostri del nostro mondo interiore.
Marcel Granet, “Danze e leggende dell’antica Cina”, Adelphi 2019, pp 570, € 45