(di Patrizia Pedrazzini) Centerville, cittadina di 738 abitanti da qualche parte nell’Ohio. Americana come da copione, con la stazione di polizia, la tavola calda, il motel, la stazione di benzina, le pompe funebri, il cimitero. E un’americanissima atmosfera country.
In tanta abitudinaria pace un bel giorno succede che, come informa la tv, l’abuso delle risorse del pianeta da parte dell’uomo ha causato la frattura della calotta polare, con conseguente spostamento dell’asse terrestre e, incredibile ma vero, il risveglio dei morti dal sonno eterno. Per cui ecco gli zombie riemergere dalle tombe, prima una mano, poi l’altra, poi la testa e tutto il resto, e percorrere, storti e ansimanti, le strade del paesello, avidi di carne e di sangue.
Questa, più o meno, la trama dell’ultimo film di Jim Jarmusch, “I morti non muoiono”, pellicola che tanto promette, ma poco mantiene, stiracchiata fra la commedia (così così) e l’horror (poco e niente), con qualche pennellata di ironia (per addetti ai lavori), dall’andamento lento e dallo stile surreale e svagato che contraddistingue il sessantacinquenne regista di “Dead Man” e di “Solo gli amanti sopravvivono”.
Che poi, ovviamente, è tutta una metafora, per cui Centerville è come minimo l’America di Trump, se non addirittura il mondo intero, e le illogiche azioni che i protagonisti compiono, o le assurdità che dicono, ad altro non corrispondono che al cumulo di frasi fatte, formule vuote, gesti sempre uguali, che caratterizzano l’esistenza dell’uomo moderno. Anche la (bella e country) canzone di Sturgill Simpson che fa da tema al film è sempre quella, piace a tutti, e tutti la vogliono sentire: già, ma c’è qualcuno che la ascolta davvero? E allora, dove può andare un mondo così se non verso l’Apocalisse?
Chiarito l’intento, rimane tuttavia, dopo 105 minuti di film, la sensazione di un lavoro svogliato, nel quale anche il messaggio veicolato rimane come in superficie, forse perché non abbastanza forte, o perché non ci si crede abbastanza. Con in più lo sfoggio, tra il gratuito e l’autoreferenziale, di citazioni tratte da pellicole come “Il Signore degli Anelli” o “Star Wars”, che dovrebbero far sorridere, ma che non si capisce cosa c’entrino. E nonostante qualche scena azzeccata, come quella degli zombie che se ne vanno in giro di notte smanettando sugli smartphone o che assaltano una farmacia per procurarsi lo Xanax.
Di contro, un cast di buon livello, che tuttavia rischia di essere risucchiato dalla debolezza della storia: Bill Murray (un po’ stanco e sottotono), Adam Driver (già visto nella parte dello scemotto geniale), Tilda Swinton (lei, sì, notevole nelle vesti di un’impresaria di pompe funebri col vezzo della katana, e non solo), Tom Waits in versione uomo dei boschi, e Iggy Pop che fa Iggy Pop, solo che è morto.
Stralunato e nell’insieme divertente (ci sono pure i dischi volanti). Ma niente di più.
Ritornano gli zombie. Per ricordarci che questo mondo sta andando verso l’Apocalisse. Ma non è una cosa seria. O sì?
12 Giugno 2019 by