Roberto De Monticelli ricordato al Goldoni di Bagnacavallo. Serata organizzata da Accademia Perduta\Romagna Teatro

Il critico e scrittore Roberto De Monticelli

(di Andrea Bisicchia) L’idea di ricordare il grande critico Roberto De Monticelli (Firenze, 1919 – Milano, 16 febbraio 1987), non è venuta a un teatro milanese, bensì a un teatro romagnolo, il Goldoni di Bagnacavallo, che il 13 maggio, nel Ridotto, gli dedicherà una serata dal titolo: “Il sentimento della parola”.
L’occasione è data da una donazione, composta di un migliaio di libri della Biblioteca di De Monticelli, a “La bottega dello sguardo”, guidata da Renata Molinari, figura storica del teatro milanese, non solo per essere stata collaboratrice editoriale di Franco Quadri, ma per aver insegnato alla Scuola Paolo Grassi.
Cosa vuol dire: il sentimento della parola? Vuol dire che ogni recensione o saggio critico, che De Monticelli scriveva per il “Corriere della “Sera”, erano costruiti sulla ricerca spasmodica della parola, non quella che si fa carne di Testori, ma quella che si fa memoria di qualcosa che il critico ha visto e che ha immortalato sulle pagine del quotidiano. Le recensioni di De Monticelli furono raccolte in quattro volumi, editi da Bulzoni, che costituiscono un prezioso patrimonio teatrale e culturale, direi unico. Per molti, De Monticelli era un maestro, non solo di scrittura, ma anche di etica professionale, di disciplina. Diceva sempre che il lavoro del critico non lo si può improvvisare, perché fondato sul rigore, sulla severità, prima nei confronti di se stesso e poi di chi si andava a giudicare. Egli meditava a lungo sulla parola, persino sull’uso di un aggettivo, oltre che sul ritmo della frase.
Era contrario a ogni forma di improvvisazione, non amava il teatro degli avventurieri, quelli che Strehler chiamava i “sicofanti della scena”, e neanche quello dei “teorizzatori”. Per lui gli spettacoli dovevano “essere scritti” sul palcoscenico. Si diceva che non amasse la sperimentazione, le fatue avanguardie, non era vero. Le cose che non amava erano il pressappochismo, l’assenza di logica scenica, l’uso sconsiderato della parola, spesso, a suo dire, incomprensibile, perché sostituita col gesto. La “ricerca” doveva avere un senso, un valore artistico, anzi, quando li trovava, li esaltava. Qualche collega gli riconosceva un “metodo”, persino Franco Quadri ha confidato, più volte, di essere stato, da giovane, un accanito lettore delle recensioni di De Monticelli, anche se, dopo, per motivi generazionali, fece altre scelte, riconoscendogli sempre la capacità di “rappresentare”, sulla pagina, ciò che aveva visto.
Anche Giovanni Raboni che lo sostituì, dopo il decesso, ammise che bisognava partire dalla” Lezione” di De Monticelli, dal modo con cui utilizzava la parola, anche quella che non veniva formulata sulla scena. La sua era una scrittura che tendeva al saggio critico, che egli andava precisando nei suoi lunghissimi articoli sulla “terza pagina”, dove riusciva a teorizzare su tutto: sulla regia, sull’attore, sulle modalità rappresentative, persino sulle nuove figure, come i manager, che si affacciavano sulla scena, che accettava con un certo pessimismo, o, ancora, sui concetti di consenso e di dissenso.
Accademia Perduta\Romagna teatri ha affidato a Roberta Arcelloni e a Guido De Monticelli, regista e figlio del critico, l’organizzazione della serata, durante la quale Guido leggerà: “Milano in quelle notti: dal Luna Park del Nost Milan a quello dell’Opera da Tre Soldi”, “L’attore, una ricerca di identità” e “Il grande scandalo del giornalismo”.