(di Andrea Bisicchia) Rosso di San Secondo ha vissuto una straordinaria stagione tra il 1918 e il 1932, quando tutti i suoi testi venivano messi in scena dalle Compagnie primarie del tempo e acclamate in tutti i teatri d’Italia, alcuni con aperto dissenso.
Negli anni Cinquanta, fu la Compagnia Merlini-Cialente a riproporre “Marionette, che passione”, che vide il debutto di Franco Parenti, mentre nel 1955, alla Biennale di Venezia, si registrò un inatteso successo con “La scala”, regia di Squarzina, protagonosti Gianni Santuccio e Lilla Brignone. Lo Stabile di Catania ha proposto, più volte, Opere di Rosso negli anni seguenti, come lo Stabile di Palermo, sotto la Direzione di Pietro Carriglio che ha prodotto ben quattro testi di Rosso.
C’è da dire che, nel decennio 1980-1990, molte sono state le messinscena anche di Compagnie private, dove spicca la regia di Sepe di “Marionette, che passione”(1988) con Tieri- Lojodice, a cui è seguita quella di Carriglio (2010) con Luca Lazzareschi, Magda Mercatali, Sergio Basile e Liliana Paganini.
Perché questo preambolo? Perché Maria Dolores Pesce, nel suo interessante saggio sulla figura femminile nel Teatro di Rosso di San Secondo, dal titolo “Cose di carne”, Editoria & Spettacolo, avanza l’ipotesi che abbiano avuto più successo Massimo Bontempelli, a cui la Pesce ha dedicato uno studio illuminante, e Italo Svevo.
Non è così.
In questo volume, nella prima parte, la Pesce fa ricorso a un metodo comparativo tra questi tre protagonisti della letteratura e della scena italiana del Primo Novecento, ai quali riconosce, con modalità diverse, il superamento dei canoni appartenenti al teatro naturalista e a quello borghese, ma ciò che particolarmente interessa alla studiosa è il problema linguistico e quello della crisi del “dramma moderno”, secondo le indicazioni di Peter Szondi, crisi intercettata, non solo da Pirandello, ma anche da Rosso, Svevo e Bontempelli e, in Europa, da Ibsen, Strindberg, Wedekind, Maeterlink, Hofmannsthal, Andreev.
I nostri tre “eccentrici” avevano capito quanto fossero insufficienti e inadeguate la lingua e le forme del teatro di fine Ottocento e inizio Novecento, tanto che il loro impegno fu rivolto al superamento, se non allo sfascio, di queste forme, destrutturandole dall’interno, come, del resto, aveva fatto Pirandello, ed estendendole al linguaggio scenico. Questa destrutturazione coinvolse anche la sintassi drammatica, oltre che linguistica, che orbitava tra elementi psicotici, onirici e favolistici, e che produsse anche quella del canone femminile, dando vita alla donna ribelle, amante incontrollabile, candida creatura che muta vita col semplice mutare dell’abito, o ancora che passa da un bordello a una rispettabile casa borghese.
Per Dolores Pesce, la figura femminile diventa l’immagine del “perturbante”, non limitata al rapporto tra i sessi, ma anche all’epoca in cui queste strane eroine agiscono. Sono, infatti, loro che si scagliano contro lo spirito soporifero del tempo, sono loro che rendono succube l’uomo e che ribaltano, con la loro eccentricità, con la loro carnalità, anche quando assume connotati marionettistici, la concezione scenica, proprio perché percepiscono il malessere sociale che combattono con le loro pulsioni inconsce. Nei tre autori, l’autrice riscontra l’ansia dell’introspezione, tanto che l’analisi, spesso, prende il posto della rappresentazione, alimentando la crisi del dramma.
Nella seconda parte del volume, la Pesce analizza tre capolavori di San Secondo: “Marionette, che passione”, “La Bella addormentata”, “Lo spirito della morte”, evidenziando la sua tesi, secondo la quale, la scissione esistenziale del drammaturgo di Caltanissetta si proietta nelle sue eroine femminili, oltre che nella trascrizione linguistica, sciogliendo l’enigma della donna come “postulato di sensualità e di maternità” che era rimasto irrisolto e rinvenendo, nella contraddittorietà, lo specifico della drammaturgia sansecondiana.
Nella Appendice si può leggere la corrispondenza tra Rosso e Silvio D’Amico.
Come studioso di San secondo consiglio di leggere il volume della Pesce e quello, ancora più recente, di Calogero Rotondo, che è anche un compendio su quanto è stato scritto sull’autore in esame.
Marta Dolores Pesce, “Cose di carne. Il femminile nel teatro di Rosso di San Secondo” – Editoria & Spettacolo 2011 – pp 182 – € 16.