(di Andrea Bisicchia) Sin dalla discesa in campo, come scrittore, Sciascia non ha mai nascosto i suoi molteplici interessi, sia artistici che politici. Quelli artistici spaziavano dalla letteratura al teatro, al cinema, quelli politici nell’area moderata di sinistra o in quella di Pannella e del suo movimentismo.
Paolo Squillacioti ha curato, per Adelphi, un volume: “Questo non è un racconto”, che raccoglie testi inediti o sperduti, che hanno un filo conduttore proprio col cinema, arricchendoli con provvidenziali “note al testo” che mettono il lettore nelle condizioni di conoscere le date e le occasioni in cui quei testi furono scritti, ai quali il curatore ha cercato di dare una logica e, quindi, un ordine, oltre che una certa differenziazione. Trattandosi, in alcuni casi, di veri e propri documenti, dimostrano l’infatuazione giovanile di Sciascia per il cinema quando, addirittura, pensava di voler fare lo sceneggiatore di professione.
Il volume si apre con tre sceneggiature scritte per Lizzani (1968), per la Wertmuller (1968), per Sergio Leone (1972), dopo il successo di “A ciascuno il suo” (1967), regia Elio Petri e contemporaneamente a “Il giorno della civetta” (1968), regia Damiano Damiani. Gli argomenti trattati in questi tre inediti riguardano episodi di mafia, di mala giustizia, di aule giudiziarie, di donne coraggiose che non hanno avuto paura di indicare, tra gli imputati, chi siano stati i veri assassini.
C’è da dire che in quella scritta per la Wertmuller si sente l’ombra di Pirandello, poiché si tratta di un fatto eclatante che ha per protagonista una testimone che non potrà dire la verità a cui ha assistito di nascosto, perché, nel caso la dovesse dire, dovrebbe accettare di passare per pazza, anche per evitare brutte conseguenze per la propria famiglia.
La sceneggiatura per Sergio Leone sembra più quella di un western, con tanti morti ammazzati che, in fondo, rispecchierebbe le esigenze del mercato cinematografico degli anni Settanta.
Il volume contiene anche recensioni di libri che argomentano temi come l’erotismo nel cinema o che raccolgono, nella collana dell’editore Cappelli, in forma monografica, film come “Senso” di Visconti, “Il tetto” di De Sica, “La tempesta” di Lattuada, “La dolce vita” di Fellini etc.
Polemiche sono le sue osservazioni critiche sull’uso che viene fatto della Sicilia da parte di certi registi che non ne conoscono la storia e la cultura, prendendo la Sicilia come pretesto per creare delle situazioni paradossali su temi come il delitto d’onore che, in Italia, aveva aperto un dibattito politico e sociale, al contrario dei film di Germi come “Le svergognate”, “Divorzio all’italiana”, “Sedotta e abbandonata”, dei quali, salva soltanto il secondo. È l’immagine di una Sicilia falsa, come quella di Cimino, regista del “Siciliano”, storia del bandito Giuliano, raccontata con tutti gli stereotipi legati all’isola in cui quei fatti tragici ebbero a realizzarsi.
Importanti le sue analisi sul concetto di comicità, quella meccanica di Charlot, di Keaton, di Ridolini, attori che rispecchiavano l’idea di Bergson, da lui citato, riguardante il comico, che consisterebbe nei gesti, negli atteggiamenti, nei movimenti che si contraddistinguono per un certo meccanismo e un particolare automatismo. Rispetto a loro, osserva Sciascia, la comicità di Musco, ha qualcosa di naturale che la distingue dalla comicità bassa della farsa, per assurgere a una comicità alta, il cui “riso di natura” va distinto da quello della rappresentazione esteriore.
Quando si arriva agli anni Ottanta, Sciascia dichiara di annoiarsi col cinema, essendosi il suo entusiasmo degli anni Sessanta trasformato in pura noia, dato che il cinema, a suo avviso, non riusciva più a lasciare traccia di sé.
Non mancano altre pagine polemiche riguardanti film tratti dai suoi romanzi come: “Cadaveri eccellenti” o “Todo modo” che vennero attaccati da alcuni critici perché dicevano essere infedeli rispetto agli originali. Sciascia ha sempre sostenuto che i film appartengono ai registi che li hanno realizzati, alla loro scrittura, a patto che siano rimasti fedeli all’idea da cui sono nati i romanzi.
Leonardo Sciascia, “Questo non è un racconto” – Ed. Adelphi 2021, pp. 166, € 13.