Scomparso Attilio Colonnello, architetto scenografo regista. Firmò mitici allestimenti d’opera. Una ventina solo alla Scala

MILANO, domenica 5 settembre(di Carla Maria Casanova) Un mese fa, è scomparso nella sua casa milanese, mi dicono tutto solo, Attilio Colonnello. Era la settimana di ferragosto e Milano era svuotata, oltre all’allucinante diaspora che la pandemia e i relativi provvedimenti governativi hanno imposto a tutto, inaridendo contatti, rapporti, sentimenti, parole.
Attilio Colonnello (Milano 9/11/1930-12/8/2021) aveva 90 anni e stava “abbastanza bene”. La sua ultima apparizione in teatro non era poi tanto lontana: aveva curato l’allestimento di Aida per il Mythos Festival al Teatro greco di Taormina nel 2019.
Architetto, pittore, scenografo, regista, Colonnello si era formato al Politecnico di Milano, sotto la guida di Gio Ponti, poi amico. Come Filippo de Pisis e Giovanni Comisso. Furono soprattutto questi tre artisti a introdurlo nell’ambito culturale che lo contraddistinse. Da architetto, sua prima competenza, Colonnello progettò a Milano, nel 1955, la (diventata celebre) Residenza Rota, caratterizzata da ambiente moderno, linee aerodinamiche e grandi spazi destinati alle collezioni d’arte. Ma presto fu irresistibilmente attratto dal teatro lirico.
In un primo periodo collaboratore di Franco Zeffirelli e di Pippo Crivelli, Colonnello bruciò le tappe. Nel 1956 debuttava al Maggio Musicale Fiorentino con scene e costumi per la storica Traviata “di” Renata Tebaldi. Nel 1957 debuttava alla Scala con il mitico Mefistofele (300 comparse!) e l’anno seguente vi curava il magico allestimento di Francesca da Rimini, direttore Gianandrea Gavazzeni, protagonisti i divi Magda Olivero e Mario del Monaco.
Alla Scala, una ventina di spettacoli, di cui lo storico Barbiere con regia di Eduardo. Fu subito immesso nel giro internazionale. Negli Stati Uniti, una lunga collaborazione con Dallas e poi con il Met di NewYork, accanto ai più grandi. E Londra, Parigi, Atene, Tel Aviv, Buenos Aires, Tokyo, Egitto, Emirati Arabi. In Italia, tutti gli Enti, privilegiando il San Carlo di Napoli e l’Arena di Verona. Qui uno (l’unico, per quanto io ricordi) strafalcione, con le scene e i costumi di Andrea Chénier, dove Attilio vestì la Caballè nel primo atto come una meringa, nel secondo come una giostra e gli altri anche peggio. Non si capiva cosa gli fosse saltato in mente. Lui sempre così misurato, elegante! Gli scrissi (sul Sole 24 ore, per il quale ho militato per 20 anni) una critica tremenda. Non me ne volle. Anzi, incontrandomi un giorno per strada a Roma (dove allora abitava) aprì le braccia “Cosa fai qui! Perché non vieni a dormire da me, che ho la casa grande? Ti ospito, devo parlarti!” Nessuna rimostranza. Mi raccontò dei suoi progetti. Fu una serata piacevolissima. Era un grande affabulatore. E un gran signore.
Si vantava (certo era vero) di essere nipote di Lina Cavalieri, la “donna più bella del mondo”, la “massima testimonianza di Venere in terra” secondo d’Annunzio, che se ne intendeva. In verità anche Attilio Colonnello non era proprio niente male.