Sconfina nella melassa propagandistica della fede la rivelazione del massacro dei cattolici messicani

Cristiada-Poster.548(di Paolo Calcagno) “Cristiada” è un film ideato e costruito per la collocazione “kolossal”: altissimo il budget, stellare il cast, epico il tema, esagerata la durata. Targato messico, anche se il budget non è quantificato, questo film mostra un evidente impegno finanziario con la sua vasta e varia scelta delle locations per le riprese in interni scrupolosamente ricostruiti (specialmente le chiese) e in esterni dove è alto il numero delle comparse che affollano le truppe dell’esercito federale e dei ribelli “cristeros” in spettacolari scene di battaglia; e con l’impiego di grandi attori, quali Andy Garcia, Eva Longoria, Oscar Isaac, o addirittura grandissimi, quale Peter O’Toole nella sua ultima interpretazione. Grandi firme, inoltre, compongono il cast tecnico a partire dall’autore delle musiche, James Horner, due volte premio Oscar e Golden Globe per “Titanic”, poi nominato altre otto volte all’Academy Award e vincitore di altri cinque Golden Globe, nonché di sei Grammy, per proseguire con la sceneggiatura del candidato all’Oscar Michael Love (“Gaby:Una Storia Vera”), fino al regista “deb” Dean Wright, “guru” degli effetti speciali premiato ovunque per film di assoluto successo, come “Titanic”, “Il Signore degli Anelli”, “Le Cronache di Narnia”.
“Cristiada” sfiora le due ore e mezzo nel raccontare una pagina di storia raccapricciante, occultata dalle istituzioni messicane: la persecuzione e il massacro dei fedeli e dei preti cattolici, decretata per legge dal governo Calles agli inizi degli anni Venti. Ancora oggi escluso dai programmi scolastici, l’eccidio dei cristiani messicani, considerati un pericolo dal potere post-rivoluzionario di Città del Messico che li additò come strumento di interferenza straniera, non era mai stato raccontato se non nel volume di Graham Greene “Il Potere e la Gloria”, poi portato sullo schermo da John Ford, nel 1947, con il titolo “La Croce di Fuoco”. Con la legge del marzo 1926 la libertà di culto religioso in Messico fu drasticamente limitata, dapprima impedendo a sacerdoti e suore di esercitare le loro funzioni e, poi, serrando conventi e scuole religiose in tutto il Paese.
Le reazioni popolari furono subito vibranti, anche se condotte in forma pacifica. La repressione, tuttavia, proseguì con incalzante ferocia, con esecuzioni pubbliche di fedeli e di rappresentanti del clero. Nell’agosto del 1926, 400 ribelli si armarono e si asserragliarono in una chiesa di Guadalupe opponendosi determinatamente ai soldati dell’esercito fino ad ingaggiare un micidiale scontro a fuoco. Fu l’inizio di una sanguinosa guerra civile che durò tre anni e causò oltre 90mila morti da entrambe le parti.
Il film di Wright non inventa niente e basa il suo racconto su fatti e personaggi autentici in un’evidente ricerca delle fedeltà narrativa. Sono, perciò, autentici gli eroi popolari Victoriano Ramirez (detto “El Catorce” per aver sterminato da solo la pattuglia di 14 soldati federali che aveva il compito di eliminarlo), interpretato col profilo da simpatica canaglia da un eccellente Oscar Isaac (“Drive”); e “il prete col fucile” Padre Vega cui dà sangue e nervi l’ispirato Santiago Cabrera. Storica è anche la figura di Padre Christopher (Peter O’ Toole) che preferisce il sacrificio della vita all’abiura del sacerdozio e che con il suo esempio spinge alla ribellione il piccolo José (l’esordiente Mauricio Kuri). Questi, a sua volta, diventa il punto di riferimento spirituale del generale Enrique Gorostieta (Andy Garcia) un ateo, gìà eroe nazionale, pensionato annoiato che, spinto dalla moglie Tulita (Eva Longoria), accetta di assumere il comando dei ribelli “cristeros”.
Tuttavia, il massivo quanto pignolo impegno alla fedeltà storica non è esente da una stucchevole esaltazione sanfedista né dalla melassa di una rappresentazione pura e santificata dei seguaci di “Cristo Re” che culmina oltre l’eccesso con le sequenze sanguinolenti (sul genere de “La Passione di Cristo”) del sacrificio del piccolo José, illuminato da irritanti sorrisi di gioia. Lo scopo del film di parlare al cuore della gente deborda in ogni sequenza ed è spesso tradito da compiacimenti ubriacanti che estendono fastidiosamente il suo messaggio anche ad altri organi, come lo stomaco. Il taglio scelto per raccontare il tema fa oscillare il metronomo del film tra la rivelazione meritoria di un capitolo di storia colpevolmente nascosto e lo spot di fervente propaganda cattolica (non a caso, “Cristiada” è distribuito da Dominus Produtcion, che alle varie “anteprime” e “prime” del film ha beneficiato della massiccia adesione dei seguaci di Comunione e Liberazione).
Quanto all’aspetto artistico, Dean Wright ha continuamente evidenziato i limiti della sua inesperienza. Le scene, talvolta, tradiscono una puerile finzione che, forse, sarebbe più appropriata sul piccolo schermo della tv. Ma anche le sequenze più riuscite appaiono come dei quadri a sé stanti, orfane di un valido supporto di raccordo che, oltre alla regia, chiama in causa la latitanza del montaggio. Infatti, i momenti più godibili del film sono quelli degli incontri-scontri fra i grandi attori del cast. Soprattutto, va messa sugli scudi la prova di Andy Garcia, misurato e convincente nella sua coinvolgente interpretazione del generale stanco della vita borghese, sensibile alle ragioni della causa della lotta per la libertà di religione e profondamente legato a José, il suo piccolo mentore dei valori e degli ideali della fede.

 “Cristiada”, regia di Dean Wright, con Andy Garcia, Oscar Isaac, Catalina Sandino Moreno, Santiago Cabrera, Eva Longoria, Peter O’Toole. Messico, 2012.