(di Andrea Bisicchia) Che cos’è la scrittura letteraria, quali sono i rapporti col suo autore, col suo linguaggio, con la sua psiche? Quali procedimenti utilizzare per entrare nel mondo dei segni e in quello del senso? Qual è il confine tra il pulsionale e il semiotico? Quale autenticità rappresenta il linguaggio rispetto all’opera in esame?
Sono tante le domande alle quali Fulvio Carmagnola cerca di dare e di far dare una risposta dai suoi interlocutori, che sono: Adorno, Foucault, Derrida, Lacan, Deleuze, noti per i loro saggi su Beckett (1961), Roussel (1963), Artaud (1967), Joyce (1975), Melville (1988), saggi che, nel decennio 1960-1980, cambiarono il corso alla metodologia critica e alla sua stessa funzione.
L’ambito della ricerca è quello semiotico strutturalista, dell’autonomia dello spazio letterario e dello spazio scenico, ovvero di un metodo compositivo che andasse oltre il testo e oltre l’autore e che riconoscesse la vicinanza tra scrittura e follia. Questi sono gli argomenti presenti nel volume “L’estrema prossimità. Cinque lezioni sulla follia nell’opera letteraria”, Mimesis, la cui struttura è costituita da una introduzione, da uno “scenario” di riferimento, che ha come oggetto il rapporto tra critica e clinica, dalle cinque letture esemplari citate e da due saggi di Matteo Bonazzi e Francesco Cappa sul Teatro della crudeltà, con i suoi “manifesti”, e una “Nota” che accosta Lacan e Freud.
Perché al centro dell’analisi si trova la follia? Perché la sua presenza nelle opere e negli autori citati risulta determinante essendo, spesso, la manifestazione di una molteplicità di sintomi che porteranno all’angoscia e alla depressione, permettendo una riflessione capace di far convivere la scrittura letteraria con quella filosofica e con quella clinica, attraverso un percorso interno e uno esterno, con due casi estremi, quello di Lacan e di Artaud per i quali il discorso critico coincide col discorso clinico, proprio perché la grande scrittura è quella capace di riflettere sullo stato psichico dei protagonisti di romanzi e di drammi, nei quali il delirio si presenta come “lingua straniera” da analizzare all’interno della “lingua madre”, proprio perché la malattia mentale contribuisce alla distorsione del linguaggio stesso, oltre che all’alterazione della coscienza. Il procedimento utilizzato è quello che esclude “il mondo” esterno per includere il mondo linguistico, con la sua rete di significanti e di significati.
In un momento in cui il discorso sul metodo ha perso la sua strada maestra, le cinque linee di lettura, e quindi di metodologia, proposte potrebbero essere un incentivo per recuperarla.
Fulvio Carmagnola (a cura di), “L’estrema prossimità. Cinque lezioni sulla follia nell’opera letteraria”. Mimesis 2008 – pp 230 – € 16