Se in tavola arrivano saporiti “piatti” d’aforismi, di battute di spirito e gustosi pettegolezzi. È l’arte dell’aneddoto, bellezza

(di Andrea Bisicchia) Come è noto, la storia della filosofia occidentale nasce con un aneddoto, raccontato da Platone, attribuito a una servetta tracia che rimproverava a Talete, per via dei suoi studi astronomici, di guardare sempre in alto, tanto da cadere in un pozzo. Aneddoto che è stato oggetto di studio da parte di Heidegger e Gadamer.
Perché questo preambolo? Perché l’aneddotica, pur non essendo una scienza, può essere utile a chi la utilizza per confermare certe sue ricerche erudite. A dire il vero, essa è spesso utilizzata dalle discipline teatrali, non solo perché suscita la curiosità dello studioso, ma anche perché, di un personaggio famoso, fa percepire una visibilità diversa.
L’aneddotica è anche un’arte, quando si ha la capacità, come Parodi, di scrivere qualcosa di “inedito” o di “ignoto”, tale è il significato del termine greco: anekdotos. In genere, quando si racconta un aneddoto, si raccomanda, all’interlocutore, di mantenere il segreto, cosa che non accade mai. Marco Parodi, regista di teatro, di Opera lirica, di televisione, in un volume, pubblicato da La Mongolfiera: “Aneddoti al ristorante dopo lo spettacolo”, ci delizia con una serie di aforismi, di battute di spirito, detti da attori, registi, cantanti che suscitano, non solo il sorriso, ma che evidenziano il gusto, l’intelligenza di chi li utilizza.
Nella aneddotica teatrale c’è sempre una logica da seguire che svela, secondo Parodi, i vizi, i costumi, le cattiverie, le gelosie, le manie di una professione ridotta ai margini, da quando è diventata autoreferenziale, per assenza di una vera critica, ma, soprattutto, da quando i Teatri più noti sono diventati delle vere e proprie Istituzioni, con costi sempre più esorbitanti, tali da lasciare piccole briciole alle nuove generazioni.
In un Convegno, organizzato da Paolo Grassi, nel 1948, Strehler lamentò, in un suo intervento, quanto poco guadagnassero i registi, visto che non c’era un album professionale che li tutelasse. Marco Parodi ha vissuto, sulla sua pelle, i momenti più difficili del teatro italiano, quando lui stesso, da giovane regista, metteva in scena, anche al Piccolo Teatro, testi poco noti di Brecht, con pochi soldi in tasca. Forse, anche per questo, ricorre alla aneddotica, per raccontarci di sé, di quel periodo, di tanti suoi colleghi, attraverso le loro battute fulminanti, come quelle di Paolo Poli, durante la tournée del “Candelaio”, o di Gassman: “L’attore è un bugiardo, al quale si chiede la massima verità”. Non mancano episodi di avarizia, come quella di Marta Abba, a cui Marco Parodi aveva chiesto i diritti di “Questa sera si recita a soggetto”, che avendo il frigorifero vuoto, gli offerse il testo con dedica, o quella di Lionello e Squarzina che, artatamente, si facevano pagare il caffè da Lucilla Morlacchi.
Parodi ci racconta come nacque il successo di “Il dito nell’occhio” di Parenti, Fo, Durano, dopo la lunga anticamera dinanzi all’ufficio di Grassi, che oggi lo si celebra con una grande mostra a Milano, al Palazzo Reale, il quale amava leggere tutto, sapere e controllare tutto. Non poteva mancare qualche battuta di Carmelo Bene: “Il teatro italiano è in mano a un centinaio di Tir impazziti”.
Forse l’aneddoto più succulento è quello del debutto a Milano dell’“Orlando furioso” di Ronconi, con Astolfo che vola sulla luna poche ore prima dell’annunzio, dato da Tito Stagno, sul vero allunaggio. Spassoso anche l’aneddoto delle due “vedove” dinanzi al catafalco di Franco Parenti.
Insomma, per chi vuol saperne di più, è sufficiente che legga cosa si muove dietro la grande “cucina” dello spettacolo.
Il volume contiene una introduzione di Maria Paola Masala e una postfazione di Giuseppe Manfridi.

Marco Parodi, “Aneddoti al ristorante dopo lo spettacolo”, Edizioni La Mongolfiera 2018, pp 70, € 10.