
La panchina di Bobò, dove per l’ultima volta Pippo Delbono abbracciò l’amico, che aveva salvato dal manicomio.
MILANO, mercoledì 5 giugno ► (di Paolo A. Paganini) Questo spettacolo nasce dalla morte di Bobò. Con queste parole, concise e definitive come un necrologio, annunciate da Pippo Delbono, comincia la singolare celebrazione spettacolare, al Piccolo Teatro Strehler, voluta dall’attore regista di Varazze, per ricordare l’amico Vincenzo Cannavacciuolo, detto Bobò, morto a 82 anni, lo scorso 2 febbraio.
Bobò, strana e inusuale figura di attore, sordomuto, analfabeta, simbolo, icona, anima poetica e compagno di scena di Delbono da ventidue anni, da quando cioè l’aveva incontrato in un ospedale psichiatrico, dove aveva passato metà della sua vita. Da qui, dalla fossa della morte civile, l’aveva salvato e lo aveva portato in scena.
Per ventidue anni partecipò a quasi tutti i suoi spettacoli, ultimo “La gioia”.
In un trionfo di fiori, seduto sulla sua consueta panchina, discusse, ancora una volta, “dialogò”, litigò e fece pace e abbracciò Delbono, in una scena di “gioia”, di riconoscenza per quell’omaccione che l’aveva salvato e fatto rinascere con il teatro. Poi, per mano, riconduceva questo ottantenne pulcino fuor di quinta, tenera immagine d’amore e d’amicizia.
Ora, lo spettacolo “La gioia” è ripreso senza di lui, senza Bobò. Un’ora e venti senza intervallo, ma per Pippo Delbono, unico protagonista in un contorno coreografico e sgargiante di costumi e di colori di tutta la compagnia, è come se Bobò fosse ancora presente. Parla di lui, discute ancora con lui, e la voce di Bobò, quella voce di uccellino, torna improvvisamente a squarciare la scena con quella tenerezza e quel disagio che da vent’anni provavamo, e che ancora proviamo, con commozione. “È stato un sogno meraviglioso”, quasi sussurra Delbono: “E Bobò, con la sua voce di uccellino, è volato via, portando con sé il gran segreto del creato. E ha lasciato un grande vuoto…”.
Sarà dunque ancora possibile parlare di “gioia”? No. Infatti lo spettacolo vuol essere “un cammino verso la gioia”, un cammino faticoso, dolente, squarciato da lampi di pazzia, un cammino, tutto sommato, senza una meta, come la vita, senza un perché, su un percorso di anime tormentate e disperate, che, alla fine, fanno gridare e quasi ripetere all’infinito: “Dov’è questa gioia? Dov’è questa gioia?…”.
E allora – piccolo momento di gioia – tanto vale consolarsi e ironicamente cantare “Maledetta primavera” di Loretta Goggi (1981)
In un contesto senza una vera sintassi drammaturgica, smontato nelle sue componenti logiche, razionali, sbilenco, destrutturato. Pazzo. E affascinante.
È da seguire solo con l’intelligenza del cuore, dei sentimenti, come emozione. Forse qui si potrà trovare il significato di “gioia”. Che non è “felicità”. E Pippo Delbono, infatti, la pronuncia una sola volta, alla fine, quando allude all’amore, la sola strada verso la felicità. No, la gioia è un momento personale, misterioso, intimo, fugace, provvisorio, evanescente. Come una canzone, o il sorriso d’un bimbo. Nell’enfasi della felicità, non della gioia, si può giurare amore eterno. E può esserci gioia anche senza felicità, anche con un grande dolore. Una carezza consolatoria può diventare un momento di gioia. La felicità è un’altra cosa. Si può essere folli di felicità. Non di gioia. La gioia rimane come una cosa strana, nel mercatino dell’impossibile, come il cinguettio d’un uccellino che vola via.
Nella “Gioia” di Delbono, dunque, non può esserci felicità. Ma chi può togliergli la gioia di aver conosciuto Bobò, la gioia di aver salvato un’anima persa? E forse non è stata l’unica, dopo aver costruito tanti spettacoli con barboni, drogati, malati di mente, depressi. Forse tutti salvati. Grazie al teatro.
Anche se è da pazzi, squinternati, fuori di testa dover ammettere, ora, che sì, con questo spettacolo si è veramente celebrato un fugace momento di gioia.
“La gioia”, uno spettacolo di Pippo Delbono. Con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Zakria Safi, Grazia Spinella, e con la voce di Bobò. Composizioni floreali Thierry Boutemy. Musiche Pippo Delbono, Antoine Bataille, Nicola Toscano e autori vari. Al Piccolo Teatro Strehler (Largo Greppi, Milano). Fino a domenica 9 giugno.